“La criminalità dilaga”; “Allarme delinquenza”; “Emergenza omicidi” strillano periodicamente i giornali. Ai quali si aggiungono le raccomandazioni di genitori e amici: “Non uscire da sola la notte!”; “Diffida degli sconosciuti”. E poi ancora: “Gli zingari rubano i bambini”; “Il carcere è un albergo. I detenuti se la spassano, hanno televisione e pasti caldi gratis”. E così via. Idee, opinioni, giudizi che tutti noi sentiamo quotidianamente e con i quali spesso concordiamo. Fino a darli per scontati e crederli veri per il solo fatto che sono tanti diffusi. Ma come stanno davvero le cose? Ad esempio, è vero che oggi la criminalità dilaga in maniera inusitata e che viviamo nell’epoca più violenta finora esistita? Scrive il sociologo Pino Arlacchi, uno degli esperti riconosciuti in materia
I tassi di criminalità, e in particolar modo gli indici della criminalità violenta, sono declinati, nella sorpresa generale, lungo tutti gli anni Novanta. La discesa è stata costante fino all’anno 2000 ed è continuata nel nuovo secolo […] Negli USA il tasso degli omicidi è sceso del 43% dal picco del 1991 al 2001, raggiungendo il livello più basso in 35 anni.
Nel nostro paese, il trend è stato simile, come ricorda il criminologo Stefano Caneppele dell’Università Cattolica di Milano:
Gli omicidi in Italia oggi sono al minimo storico degli ultimi 40 anni. Le rapine sono tornate ai livelli di venti anni fa e i sequestri di persona ad opera della criminalità organizzata, che hanno caratterizzato drammaticamente gli anni ’80 del secolo scorso, sono praticamente scomparsi.
E allora come spiegare il fatto che tanta gente continua a sentirsi minacciata dalla violenza e dalla criminalità? «Possiamo dire che oggi viviamo in una società che si sente più insicura ma non certo perché viviamo nell’epoca più violenta della storia dell’uomo» dice Caneppele. È insomma una questione di percezione. Scrive ancora Arlacchi: «Dieci omicidi oggi possono essere ritenuti meno tollerabili di cento omicidi ieri, e viceversa. La percezione della sicurezza è un’emozione individuale, ma è soggetta a molte influenze dall’esterno». Come quelle che provengono dai mass media che, occupandosi spesso di criminalità, danno l’impressione che questa sia molto più diffusa di quanto non sia.
Il caso della città di Roma è emblematico. Tra gli abitanti delle metropoli mondiali, i romani si collocano ai primissimi posti nelle classifiche della percezione individuale di insicurezza, e si trovano contemporaneamente nelle ultime posizioni della graduatoria della criminalità reale, quella degli omicidi, delle rapine, dei furti, degli stupri che avvengono effettivamente
commenta ancora il sociologo.
Un’altra distorsione percettiva riguarda chi ha maggiori probabilità di rimanere vittima di un reato. In molti sondaggi di opinione emerge che gli intervistati indicano in vecchi e donne le categorie maggiormente a rischio di subire un reato. Invece non è così. Lo dimostrano i dati. Commenta Caneppele
Il rischio di subire un reato varia a seconda del genere, dell’età e dello stile di vita. In generale i soggetti più a rischio sono maschi, di età compresa tra i 14 e i 35 anni, che tendono a passare più tempo fuori casa, soprattutto nelle ore serali e nei fine settimana. Le persone anziane sono solitamente meno a rischio di reati violenti e reati predatori, così come le donne che hanno però i tassi di rischio più alti per le molestie e le violenze sessuali. Queste ultime due categorie sono però quelle che si sentono più insicure perché, per le persone anziane, temono maggiormente le conseguenze fisiche del reato subito oppure perché, per le donne, sono più esposte al rischio di violenza sessuale.
Insomma, anche in questo caso è questione di percezione. Altro luogo comune molto diffuso è quello secondo cui la maggior parte degli stupri e delle aggressioni sessuali subiti dalle donne avviene per opera di sconosciuti, magari stranieri. Di qui il monito, altrettanto diffuso, che viene impartito alle donne sin dalla prima gioventù di non andare in giro da sole di notte o non accettare passaggi da sconosciuti. Ancora una volta i dati smentiscono questa convinzione. Ancora Caneppele:
Le indagini condotte in Italia e all’estero confermano che gli autori di stupri sono soprattutto amici, conoscenti o mariti/fidanzati. In particolare dall’ultima indagine Istat condotta in Italia (2007), Il 69,7% degli stupri è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è stato opera di estranei. Gli sconosciuti commettono invece soprattutto molestie fisiche sessuali, seguiti da conoscenti, colleghi ed amici.
Insomma, la verità è che, nella maggioranza dei casi, i responsabili di tutte le forme di violenza fisica e sessuale ai danni delle donne sono mariti, fidanzati, conviventi, amici e conoscenti. Il nemico più temibile si trova, dunque, in casa.
Anche sul carcere sono diffusi miti e idee errate che non reggono al confronto con i dati disponibili. Il primo di questi vuole che le galere siano luoghi di villeggiatura con tutte le comodità. Perfino la televisione.
«Non è proprio così» afferma Dario Stefano Dell’Aquila, componente dell’Osservatorio nazionale sulla detenzione dell’associazione Antigone. «Basti pensare che su una capienza complessiva di quarantottomila mila posti, sono presenti nelle prigioni italiane circa settantamila detenuti. Il sovraffollamento determina casi, come nel carcere di Poggioreale a Napoli, nei quali si arriva sino a 16 persone per cella, con un solo bagno. Le gravi condizioni sono state denunciate anche da organismi istituzionali europei, come il Comitato per la prevenzione della tortura, organo del Consiglio di Europa. Negli ultimi dieci anni, poi, sono morte nelle carceri italiane quasi 1.900 persone, 674 delle quali si sono suicidate. E all’estero la situazione non è migliore».
Condizioni che non autorizzano certo a vedere il carcere come un albergo dorato. Un’altra credenza molto diffusa vuole che i delinquenti escano subito dal carcere e non scontino mai tutta la pena. Ancora Dell’Aquila:
Contrariamente a ciò che si pensa, l’esecuzione della pena è certa e si basa sempre sugli anni comminati in sentenza. Ciò che varia, dopo aver scontato una parte della pena (i due terzi), sono le modalità con cui questa pena viene scontata. Quindi ad una persona detenuta può essere concesso, ad esempio, di recarsi a lavorare all’esterno e far rientro nel carcere la sera. Ma si tratta sempre di provvedimenti disposti da un giudice, quindi non automatici, e che non significano “essere liberi”. In più si è sempre sottoposti a controlli di polizia che verificano gli spostamenti effettuati.
Ma a cosa si deve l’alto numero di detenuti nelle prigioni? In molti pensano che, in Italia almeno, dipenda dalla presenza della criminalità organizzata. Ma questa è solo una piccola parte della popolazione carceraria complessiva.
«Il tasso di detenzione in Italia è analogo a quelli degli altri paesi europei», spiega Dell’Aquila. «E solo una percentuale molto piccola, circa il 10% dei detenuti, è in carcere per reati legati alla criminalità organizzata. La parte più consistente della popolazione detenuta è in carcere per reati contro il patrimonio o per violazione del testo unico sulle sostanze stupefacenti».
Credenze, opinioni, miti sulla criminalità tanto pervasivi quanto falsi. Anche perché inducono a sottovalutare reati che sono preoccupantemente in ascesa.
«Ci sono fenomeni da tenere sotto osservazione come lo stalking», conclude Stefano Caneppele. «La nuova legge del 2009 che ha criminalizzato gli atti persecutori ha fatto emergere un fenomeno sommerso, che negli ultimi vent’anni sembra essere cresciuto con la maggiore precarietà delle relazioni sentimentali».
Fenomeno che, insieme a quello dei reati informatici e ad altri, costituirà probabilmente la criminalità del futuro.