In alcuni post precedenti (qui e qui), avevo fatto notare la falsità dell’idea secondo cui i terroristi musulmani sarebbero tutti poveri, disoccupati, ignoranti e fanatici. Una conferma di ciò ci arriva dai risultati di una importante indagine sociale, raccontata nel libro Tutto quello che dovresti sapere sull’Islam e che nessuno ti ha mai raccontato, pubblicato in Italia dalla Newton Compton Editori e curato da John L. Esposito e Dalia Mogahed.
Tra il 2001 e il 2007, la Gallup Organization ha condotto uno studio pluriennale con decine di migliaia di interviste lunghe un’ora con i residenti di più di 35 nazioni a maggioranza musulmana, o caratterizzate da una massiccia presenza di musulmani. Il campione comprendeva residenti giovani e anziani, istruiti e analfabeti, donne e uomini, di provenienza urbana o rurale. Tra le aree indagate anche quella del radicalismo politico.
Scrivono gli autori dell’indagine:
Per decenni studiosi ed esperti si sono chiesti in che modo si creano i terroristi e gli estremisti. Si dice che le cause del terrorismo possono essere psicologiche (i terroristi sono anormali, disturbati, irrazionali), sociologiche (sono analfabeti o poco istruiti, alienati e disadattati sociali), economiche (sono poveri, disoccupati, disperati), politiche (rifiutano la democrazia, la libertà, i diritti umani) e religiose (sono fanatici e credono in una religione violenta che si oppone alla tecnologia e alla modernizzazione). Il pensiero convenzionale, basato su antichi, radicati stereotipi e pregiudizi sugli estremisti, ha spesso ripiegato sull’idea intuitiva per cui estremismo e terrorismo sono motivati da una combinazione di fanatismo religioso, povertà e disoccupazione. La riluttanza a immaginare che anche le persone più estremiste possano essere intelligenti e razionali, che protestino per quelli che ritengono dei torti, si è manifestata nelle settimane successive all’11 settembre. I mezzi di comunicazione riferirono la “stupefacente scoperta” secondo cui numerosi attentatori non erano affatto poveri, né provenivano da famiglie oppresse o illetterate, o da gruppi emarginati della società ma dalla classe istruita, dai ceti medi o alti, da famiglie e gruppi sociali stabili, come Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri, i leader di al-Qaida (p. 83).
Non è nemmeno vero che i terroristi islamici siano particolarmente devoti.
Per esempio, secondo quanto riportato dai giornali, i dirottatori dell’11 settembre mostravano comportamenti che un musulmano osservante non assumerebbe mai: alcuni di loro erano forti bevitori e frequentavano sia i sexy shop che i locali con spogliarelliste. Molti non avevano ricevuto la propria formazione nelle madrasa, i seminari religiosi, ma avevano studiato in scuole e università pubbliche o private. Bin Laden ha studiato economia, gestione aziendale e ingegneria; Al-Zawahiri è medico chirurgo, mentre altri capi di al-Qaida – oltre ai responsabili degli attacchi alle Torri gemelle e al pentagono, come Muhammad Atta – erano persone colte, professionisti appartenenti alla classe media. Omar Sheikh, il terrorista britannico accusato e condannato a morte per il rapimento e l’uccisione di Daniel Pearl, giornalista del «Wall Street Journal», aveva studiato in scuole private di élite, inclusa la London School of Economics (pp. 84-85).
Queste osservazioni sono state corroborate dall’indagine Gallup, che ha rivelato che, tra gli intervistati, «chi ha opinioni politiche radicali è mediamente più istruito dei moderati: il 67 percento di loro possiede un diploma di scuola secondaria o superiore (contro il 52 percento dei moderati). I primi non sono nemmeno economicamente svantaggiati: il 65 percento sostiene di possedere un reddito medio o superiore alla media, rispetto al 55 percento dei secondi» (pp. 86-87). Similmente la disoccupazione e la condizione professionale non distinguono i radicalisti dai moderati.
Non ci sono differenze fra il tasso di disoccupati radicalisti e moderati: per entrambi è circa al 20 percento. E tra le persone che hanno un’occupazione, i radicalisti svolgono lavori di grande responsabilità: quasi la metà (47 percento), rispetto al 34 percento dei moderati, afferma di avere compiti di supervisione. I radicalisti non sono neppure in condizioni peggiori rispetto alla corrente principale. La grande maggioranza di loro afferma di essere soddisfatta della propria situazione finanziaria, del proprio livello di qualità di vita: il 64 percento contro il 55 percento dei moderati, crede anche che le proprie condizioni stiano migliorando (p. 87).
Insomma, anche l’indagine Gallup conferma la falsità dell’opinione secondo cui i terroristi musulmani sarebbero tutti poveri, disoccupati, ignoranti e fanatici. Non c’è bisogno di essere devotamente religiosi per essere terroristi. E questo vale anche per il terrorismo musulmano.
Per altri miti sulla criminalità rimando ai miei Delitti e 101 falsi miti sulla criminalità.