Mark Twain e l’inglese turistico degli italiani

L’inglese turistico corre da sempre il rischio della faciloneria e della sciattezza. Secondo lo scrittore americano Mark Twain, che narrò i suoi viaggi in Europa nel libro Gli innocenti all’estero (BUR, Milano), le guide turistiche

conoscono l’inglese quanto basta per ingarbugliare ogni cosa, sicché ben presto si perde il bandolo della matassa (p. 157).

Lo stesso Twain così commenta i tentativi linguistici di una guida durante la sua visita a Milano

«Do you wiz zo haut can be?». Fu quanto ci chiese la guida mentre stavamo osservando i bronzi cavalli sull’Arco della Pace. Intendeva dire: volete salire lassù? Ve lo propongo come esempio di inglese turistico. Questa è la gente che rende faticosa la vita dei turisti. Non tengono mai la bocca chiusa. Parlano, parlano ed è questo il gergo che usano… No, non intendevamo «Wiz zo haut can be». Volevamo recarci alla Scala che chiamano il teatro più grande del mondo. Così facemmo (p. 61).

Più avanti, nello stesso testo, Twain riporta un biglietto stampato di un albergo sulle rive del lago di Como.

NOTISH

This hotel which the best it is in Italy and most superb, is handsome locate on the best situation of the lake, with the most splendid view near the Villas Melzy, to the king of Belgian, and Serbelloni. This hotel have recently enlarge, do offer all commodities on moderate price, at the strangers gentlemen who wish spend the season on the Lake Como (p. 67).

Insomma, nel resoconto di Mark Twain, l’inglese degli italiani proprio non ci fa una bella figura. Ma le cose non sembrano cambiate molto dall’epoca dello scrittore americano.

Come si può vedere dal cartello a esergo di questo post, esposto in una gelateria italiana qualche anno fa – un esempio tra centinaia – l’inglese turistico degli italiani è ancora “faticoso”, a riprova del fatto che abbiamo ancora molta strada da fare per accogliere degnamente i parlanti anglofoni nel nostro paese.

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