Un esempio clamoroso, quanto poco noto, di come la scienza possa essere posta al servizio di una causa ideologica è offerto dall’attività di un medico francese oggi sconosciuto, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la cui lezione merita di essere ricordata, se non altro per evitare di ripeterne gli errori. Il nome di questo medico è Edgar Bérillon (1859-1948).
Nato a Saint-Fargeau, in Borgogna, durante l’infanzia Bérillon è traumatizzato dalla disfatta dell’esercito francese ad opera dei prussiani nel 1870 in occasione della guerra franco-prussiana. Studia neurologia e psicologia ed è allievo di Charcot. Nel 1894, sulla scia degli studi sulla degenerazione e criminologici allora di moda, pubblica uno studio intitolato L’Onychophagie et sa fréquence chez les dégénérés (“L’onicofagia e la sua frequenza presso i degenerati”) in cui tenta di dimostrare come l’abitudine di mangiarsi le unghie possa essere ricondotta a una forma di degenerazione. Fervido patriota, nel 1914 decide di mettere a disposizione della Francia il suo sapere medico contro il “nemico di sempre”: la Germania. L’obiettivo è di provare scientificamente l’inferiorità psicologica e fisiologica dei tedeschi. Ne discende una sorta di battaglia ideologica al limite del fanatismo e dagli esiti sorprendenti. Il frutto di questa battaglia è riassunto nelle sue opere più clamorose, La bromidrose fétide des Allemands (“La bromidrosi fetida dei tedeschi”) e La Polychésie de la race allemande (“La polichessia della razza tedesca”), entrambe del 1915.
Che cosa sostiene Bérillon in questi scritti? Mettendo insieme dati provenienti da fonti diverse, per lo più aneddotiche e di seconda mano, il medico francese asserisce che tedeschi e francesi appartengono a due razze completamente diverse: la razza germanica e quella celtica, di cui la prima è nettamente inferiore alla seconda. Per Bérillon, la differenza tra francesi e tedeschi è superiore perfino a quella tra bianchi e neri. Questo perché i tedeschi sono esseri subumani, degenerati, afflitti da numerose tare. Essi sono grassi e flaccidi, hanno le spalle simili a quelle dei gorilla, rientrano nel tipo linfatico e hanno la tendenza alla proliferazione adiposa. Morfologicamente, i tedeschi sono tendenzialmente dolicocefali (hanno cioè la testa allungata), caratteristica che, a suo avviso, genera una immediata “antipatia” nei loro confronti. I francesi invece sono brachicefali (la larghezza del cranio, cioè, prevale sulla lunghezza), caratteristica che garantisce la democrazia e il rispetto dei diritti umani. I tedeschi, inoltre, hanno lo sguardo obliquo del ladro, orecchie sgraziate e piedi piatti. Una importante differenza è poi nell’urina:
Nei tedeschi il coefficiente urotossico è almeno di un quarto più elevato che nei francesi. Questo significa che, se per uccidere un chilo di cavie sono necessari 45 centimetri cubici di urina francese, lo stesso risultato si otterrà con circa 30 centimetri cubici di urina tedesca (…). La principale particolarità organica del tedesco attuale è che, non essendo in grado, a causa di una funzione renale già costretta a un superlavoro, di eliminare gli acidi urici, vi aggiunge la regione plantare. Possiamo esprimere questo concetto dicendo che il tedesco urina con i piedi [E. Bérillon, “La bromidrose fétide des Allemands”, Bulletin et mémoires de la Société de médecine de Paris, Paris, 1915, pp. 142-145, cit. in A. Le Guérer, I poteri dell’odore, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 41].
Per il tedesco la funzione intestinale è il primum movens del suo essere, ragion per cui ingurgita enormi quantità di alimenti, tra cui cavoli, pomodori, salsicce e crauti. La voracità è una caratteristica innata del tedesco che Bérillon definisce “polifagia”. Il medico francese inventa addirittura una nuova scienza, l’etnochimica, attraverso cui intende dimostrare che certe razze, tra cui ovviamente quella tedesca, sono inferiori ad altre a causa della composizione chimica dei loro corpi: così il fatto che i francesi siano consumatori di pane, mentre i tedeschi sono consumatori di grasso, genera un “ordine chimico” diverso tra le due razze (phosphatide vs carbonatide nella terminologia di Bérillon) a tutto vantaggio, naturalmente, dei francesi.
La polifagia dei tedeschi comporta un sovraccarico della funzione intestinale e una conseguente iperattività escretoria che Bérillon battezza “polichessia” (dal greco: “eccessiva defecazione”) e che definisce come una delle caratteristiche più marcate dei tedeschi. La polichessia, per Bérillon, è la dimostrazione formale dell’inferiorità fisica e psicologica della razza tedesca. Accanto a essa il medico francese, con un vero colpo di genio, individua un’altra caratteristica: la “bromidrosi fetida” (dal gr. βρῶμος “fetore” e ἱδρώς “sudore”: sudorazione fetida. Si noti, dunque, che “bromidrosi” significa già “sudorazione fetida”), una patologia che renderebbe l’odore dei tedeschi particolarmente sgradevole e la cui causa è attribuita alla polifagia del nemico che costringe la pelle, soprattutto dei piedi, a funzionare come un terzo rene. Per questi motivi, secondo Bérillon, la razza tedesca è quella più vicina allo stato animale in quanto gli animali in situazione di pericolo aumentano la produzione delle ghiandole che secernono sostanze maleodoranti. «Sulla base di questi studi, e delle testimonianze dei piloti degli aerei di guerra che sostenevano di essere disturbati da odori nauseabondi mentre sorvolavano le città germaniche, la Société de Médicine di Parigi attribuì in quell’anno ai tedeschi la palma della fetidità. Un primato che venne riconosciuto nonostante l’“odore acido” degli inglesi, quello “rancido”dei neri e quello “di malattia” degli asiatici» (A. Gusman, Antropologia dell’olfatto, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 53).
La somma di tutte le caratteristiche disgustose dei tedeschi individuate da Bérillon serve una funzione eminentemente patriottica e propagandistica: di fronte a un nemico così afflitto da tare e patologie, la vittoria in guerra è assicurata. I francesi, dunque, non devono temere di essere sopraffatti dai tedeschi. Al più devono proteggersi dalla loro ingordigia e dal loro fetore.
Oggi, le tesi di Bérillon sono definite una forma di delirio scientifico-patriottico e del resto caddero nell’oblio poco dopo la fine della Prima guerra mondiale. Ma sono un esempio straordinario di come la scienza e il suo linguaggio possano essere adoperati a fini propagandistici. La propaganda “scientifica”, rivestendosi di una retorica “oggettiva” e “neutra”, trasmette il messaggio che le sue conclusioni non derivano da atteggiamenti soggettivi preconcetti, ma da studi imparziali e incontestabili. L’uso di un linguaggio apparentemente asettico e tendente al neologismo grecizzante avvalora ancora di più le pretese della propaganda: la faziosità e lo sciovinismo si celano dietro l’espressione rigorosa e altisonante. Il nemico è inferiore non in virtù di un afflato patriottico, ma in ragione delle incontrovertibili conclusioni della scienza. Fra l’altro, l’olfatto si presta particolarmente bene a finalità discriminatorie. Sebbene il sudore fetido non dipenda esclusivamente da fattori fisiologici, ma anche sociali, culturali e psicologici (si pensi, al riguardo, all’odore di chi compie lavori manuali rispetto a chi compie lavori “di concetto”; agli standard igienici, che variano da cultura a cultura e da classe sociale a classe sociale; all’importanza di variabili come l’ansia e il panico nella sudorazione del corpo ecc.) negli esseri umani è fortissima la tendenza a “naturalizzare” i dati dell’olfatto, a interpretare, cioè, i cattivi odori come caratteristiche naturali del corpo dell’altro, e a far slittare il giudizio da un piano fisiologico a uno morale e criminale (“Chi è cattivo o criminale puzza”).
Tutto ciò ha contribuito storicamente a “promuovere” l’olfatto a strumento di inferiorizzazione del nemico. Con conseguenze nefaste. Sembra, ad esempio, che, durante la Prima guerra mondiale, alcune spie e alcuni tedeschi travestiti da alsaziani furono identificati e uccisi sulla base di criteri “scientifici” à la Bérillon. Del resto, ricordiamo che il discorso razzista è spesso ricorso all’olfatto per distinguere tra superiore e inferiore: il sociologo tedesco Simmel, all’inizio del XX secolo, faceva notare che l’odore dei neri costituiva una grande barriera alla loro integrazione nella società occidentale; il Nazismo mise a disposizione della propria ideologia l’attività dei medici tedeschi il cui compito fu di dimostrare l’inferiorità assoluta della stirpe ebraica rispetto a quella ariana; inferiorità attestata, secondo i nazisti, anche dal foetor judaicus di medievale memoria. In arabo, il termine jiffa designa l’odore “tipico” dei semiti. I giapponesi chiamano bata kusai (“che puzza di burro”) l’odore del corpo degli Occidentali (Gusman, 2004, cit., pp. 53-55). Infine, ricordiamo che ancora oggi queste discriminazioni sono diffuse nella nostra società: dal pendolare che non si siede nella carrozza ferroviaria per via del “fetore tipico dei neri” (testimonianza personale) ai motivi irriverenti che alcuni tifosi intonano nei confronti dei tifosi avversari (“Senti che puzza scappano anche i cani stanno arrivando i napoletani”).
Insomma, la bromidrosi fetida è un concetto che la scienza non riconosce più da tempo, ma ciò non toglie che l’olfatto non possa essere, oggi come un tempo, strumento di discriminazione.
Testi di riferimento
Bérillon, “La bromidrose fétide des Allemands”, Bulletin et mémoires de la Société de médecine de Paris, Paris, 1915.
Bérillon, La Polychésie de la race allemande, Maloine, Paris, 1915.
Courmon, L’odeur de l’ennemi, 1914-1918, Armand Colin, 2010.
Gusman, Antropologia dell’olfatto, Laterza, Roma-Bari, 2004.
Lefrére, Berche, “Un cas de délire scientico-patriotique: le docteur Edgar Bérillon”, Annales Médico-Psychologiques, Revue Psychiatrique, Elsevier Masson, 2010, vol. 168, n. 9, pp. 707.
Le Guérer, I poteri dell’odore, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.