Al giorno d’oggi, inviare pacchi di qualsiasi dimensione a destinatari di ogni parte del mondo sembra una operazione estremamente banale. Non è stato sempre così. Negli Stati Uniti, ad esempio, il servizio di spedizione dei pacchi per posta (parcel post) fu introdotto solo il 1° gennaio 1913 e si rivelò immediatamente un successo. Il nuovo servizio ebbe un effetto eccezionalmente stimolante sull’economia nazionale degli Stati Uniti e offrì molteplici opportunità ai cittadini americani residenti nelle aree rurali di acquistare cibo, medicine, cereali e altre merci, in precedenza non facilmente accessibili. In aggiunta, gli agricoltori furono in grado di inviare uova e altri prodotti direttamente ai consumatori, risparmiando tempo e denaro. Nei primi tempi, però, il servizio non fu disciplinato da regole precise; circostanza che rese possibile inviare per posta gli oggetti più strani, compresi, per quanto possa sembrare assurdo, i… bambini.
Le cronache dei quotidiani del tempo testimoniano, ad esempio, che, nel 1913, un bambino di otto mesi di nome Vernon O. Lytle fu “spedito” dai genitori alla nonna paterna, distante alcune miglia, con una affrancatura di 15 centesimi e in un “pacco” assicurato per 50 dollari. La spedizione riuscì perfettamente. Lo stesso accadde un anno dopo a un bambino di due anni residente a Stratford, in Oklahoma, che fu “spedito” dalla nonna a una zia di Wellington, in Kansas, distante 25 miglia. Costo del francobollo: 18 centesimi. Secondo i giornali dell’epoca, il bambino, che durante il tragitto pranzò amabilmente con il postino, arrivò a destinazione sano e salvo.
Un caso famoso, accaduto il 19 febbraio 1914, è quello di una bambina di quattro anni, di nome Charlotte May Pierstorff (1908-1987), che fu “spedita” tramite ferrovia dai nonni di Grangeville, in Idaho a Lewiston, città distante 73 miglia. Costo dell’affrancatura: 53 centesimi. La storia di Charlotte divenne così nota da diventare nel 1997 un libro per bambini dal titolo Mailing May. L’autore è lo scrittore per bambini ed educatore Michael O. Tunnell. Il libro è tuttora acquistabile.
Il tragitto più lungo fu quello toccato in sorte a una bambina di sei anni, Edna Neff, “spedita” dalla madre, residente a Pensacola, Florida, al padre residente a Christiansburg, in Virginia: 721 miglia, percorse in treno.
Il servizio dei “bambini postali” fu vietato per regolamento il 14 giugno 2013, ma alcuni bambini continuarono a essere “spediti” ben oltre quella data. Il fenomeno ebbe realmente fine nel 1915, quando si decise di far rispettare sul serio la norma di due anni prima. Da segnalare, comunque, che tutti i “bambini postali” arrivarono a destinazione. Non vi fu alcun caso di bimbo “perso” per strada.
Prima di storcere il naso e tuonare contro la barbarie di quei tempi, è opportuno fare alcune considerazioni. I casi di “bambini postali” furono pochi (solo 5 tra il 1914 e il 1915) e i casi più noti, come vedremo fra poco, furono trovate pubblicitarie. In secondo luogo, il servizio dell’epoca era concepito in maniera diversa da oggi. I “postini” erano, di solito, ben noti a genitori e parenti, non erano affatto anonimi esecutori. Anzi, più che postini potevano essere definiti accompagnatori. Charlotte May Pierstorff, ad esempio, fu accompagnata da una cugina della madre che lavorava per le ferrovie americane. Le “spedizioni” ebbero luogo soprattutto in ambito rurale dove “tutti conoscevano tutti” e i genitori sapevano di chi fidarsi. Tranne qualche eccezione, inoltre, i tragitti erano brevi. Infine, in alcuni casi, questo sistema di spedizione fu privilegiato da genitori e parenti dei piccoli perché meno costoso rispetto al pagamento di un normale biglietto ferroviario.
Un’ultima osservazione. In rete circolano diverse “strane” fotografie che ritraggono postini dell’epoca con bambini stivati nelle loro borse (come queste che vedete). Sebbene queste foto evochino figure di malcapitati infanti stipati alla meno peggio in un sacco tra una lettera e l’altra e con un francobollo incollato alla fronte o al bavero della giacca, la realtà era completamente diversa. Le foto stesse non sono altro che falsi a scopo pubblicitario, anche se indubbiamente suggestivi, come attesta in un suo articolo Nancy Pope, storica e conservatrice dello Smithsonian National Postal Museum. Nessun bambino fu mai infilato in una borsa come un pacco qualsiasi