C’è nella nostra epoca una forte pressione sociale a conformarsi a standard fisici e atletici piuttosto esigenti, la cui soddisfazione richiede un impegno attivo e continuo nel tempo e che viene data per scontata. Tali standard sono, infatti, incarnati da attori/attrici, atleti/atlete, cantanti, assunti a modelli da imitare, rispetto ai quali ogni differenza viene vissuta come una mancanza, carenza, deficienza, incompetenza.
È indubbio che praticare un’attività fisica sia una buona cosa. L’esercizio fa bene alla salute. E molto esercizio fa molto bene alla salute. Ma ciò non significa che enormi quantità di esercizio facciano enormemente bene al corpo. A un certo punto, il troppo inizia a danneggiare la nostra fisiologia a livelli che spesso ignoriamo.
Come rivela Robert Sapolsky, autore del fortunato Perché alle zebre non viene l’ulcera? (Castelvecchi, Roma, 2014), «gli uomini che svolgono enormi quantità di esercizio fisico, come i calciatori professionisti e i corridori che percorrono più di 70-90 chilometri a settimana, hanno meno [ormoni] LHRH, LH e testosterone in circolo, testicoli più piccoli e meno sperma funzionale. Inoltre, hanno livelli più alti di glicocorticoidi nel sangue, anche in assenza di stress (un simile calo della funzione riproduttiva è riscontrabile in uomini con dipendenza da oppiacei)».
Inoltre, «atleti trentenni che corrono dai 70 ai 90 chilometri a settimana possono ritrovarsi con le ossa decalcificate, una minore massa ossea e un maggior rischio di fratture da stress e di scoliosi (una curvatura laterale della colonna vertebrale), ovvero con un’ossatura simile a quella dei settantenni».
Ciò vale anche per le donne: «Circa la metà delle podiste professioniste soffre di irregolarità mestruali, e le ragazze molto atletiche raggiungono la pubertà più tardi del solito. Uno studio condotto sulle quattordicenni, per esempio, ha rivelato che circa il 95% dei soggetti aveva già avuto le prime mestruazioni, mentre lo stesso valeva solo per il 20% delle ginnaste e per il 40% delle podiste».
Insomma, l’esaltazione irrazionale dell’aspetto fisico può produrre effetti contrari a quelli desiderati, quando la ricerca della perfezione del corpo a ogni costo si traduce in un corpo usurato, piegato, danneggiato, precocemente invecchiato. È il trionfo dell’enantiodromia di cui parlava Eraclito, ossia del mutare delle cose nel loro opposto.
Pensiamo che nella nostra epoca tutto proceda in maniera compiutamente lineare e razionale. I paradossi della forma fisica a tutti i costi ci rivelano che le cose non stanno in questi termini e che spesso modelli troppo esigenti di vita ci fanno regredire a forme subnormali di esistenza
Fonte: Sapolsky, R. M., 2014, Perché alle zebre non viene l’ulcera?, Castelvecchi, Roma, p. 113.