Rovistando tra le increspature dell’italiano, non è difficile imbattersi in usi verbali e pronominali che, pur essendo ampiamente diffusi o almeno noti, rimangono degni di più di una riflessione, soprattutto quando proprio l’estrema diffusione li rende talvolta opachi e poco problematici allo sguardo distratto.
Vorrei qui soffermarmi su due curiosi fenomeni della nostra lingua che hanno il nome, rispettivamente, di “imperfetto di modestia” e “dativo etico”.
Cominciamo dal primo. Mi capita frequentemente di entrare in un negozio, un ufficio, un locale e formulare richieste di questo tipo: «Volevo chiederle se ha del prosciutto cotto»; «Volevo chiederle il prezzo di quel televisore»; «Volevo chiederle un modulo per la presentazione della domanda». In questi casi, grammatica vorrebbe che usassimo il condizionale («Vorrei chiederle se ha del prosciutto cotto» ecc.), ma, per qualche motivo, il condizionale è avvertito come eccessivamente assertivo ed è sostituito dall’imperfetto che comunica maggiore modestia e rispetto. Sappiamo benissimo che il condizionale non ha le funzioni dell’imperativo («Vorrei chiederle» non è come «Dimmi!»), ma l’imperfetto ci sembra più dolce, dialogico, riguardoso. Nasce così un uso improprio di questo tempo verbale che, di per sé, dovrebbe coniugare le voci verbali al passato e non esprimere un desiderio legato al presente
Ancora più curioso è il dativo etico, molto noto e limitato, in alcuni casi, a narrazioni caricaturali, legate, in particolar modo, ai vezzi di alcune madri e insegnanti del passato: «Sa, cara signora, mio figlio non mi mangia proprio. Le ho provate tutte, ma proprio non mi mangia»; «Suo figlio proprio non mi studia, cara signora. Mi sa che, se continua così, dovrà ripetere l’anno». Altre forme sono sicuramente ancora in suo: «Cosa mi combini, Franco?»; «Stammi bene, Luisa»; «E chi ti salta fuori? Luca». Come dice la Treccani, «il dativo etico (lat. dativus ethicus) indica la partecipazione o il coinvolgimento emotivo di una persona rispetto a un’azione o a una circostanza indicata dal predicato». Ed è curioso che tale partecipazione sia considerata “etica”. L’origine è naturalmente latina, ma in un’epoca in cui le distinzioni tra l’etica e le altre sfere dell’agire umano sono nettissime, fa specie che esistano ancora forme grammaticali che hanno qualcosa di etico.