L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario italiano stabilisce esplicitamente che il trattamento del condannato e dell’internato, finalizzato a rieducare il delinquente, è svolto avvalendosi principalmente, oltre che di religione, lavoro, attività culturali, ricreative e sportive, anche dell’istruzione. Il diritto penitenziario, in sintesi, riconosce e valorizza il ruolo dell’istruzione in funzione rieducativa, segno evidente di come, per giudici e magistrati, l’istruzione abbia un ruolo importante nel percorso che dovrebbe condurre il detenuto al reinserimento sociale.
Anche molte iniziative preventive si basano sull’idea che l’istruzione svolga una funzione profilattica nei confronti della delinquenza; idea che è confermata dai dati relativi alla popolazione penitenziaria dai quali emerge che il delinquente comune è, per lo più, analfabeta, privo di titolo di studio, ha solo la licenza elementare o la licenza di scuola media inferiore.
L’istruzione, quindi, è sempre un elemento utile ai fini della prevenzione della delinquenza? Paradossalmente, non sempre. Lo notava quasi due secoli fa, Alexis De Tocqueville, il quale, nei suoi scritti penitenziari, osservava:
Alcune persone negli Stati Uniti pensano anche che i lumi dell’istruzione, così diffusi negli Stati del Nord, determinino la diminuzione dei crimini. Sembra che una popolazione illuminata, cui non mancano gli sbocchi che possono offrire l’agricoltura, il commercio e l’industria manifatturiera, debba commettere meno reati di quella che possiede questi ultimi vantaggi senza avere gli stessi lumi per sfruttarli. Tuttavia, noi non pensiamo che si debba attribuire all’istruzione questa diminuzione dei reati nel Nord, perché nel Connecticut, dove essa è ancor più diffusa che nello Stato di New York, si vedono i reati aumentare con estrema rapidità e, se non si può addebitare ai lumi questa crescita prodigiosa, bisogna però riconoscere che essi non hanno il potere di impedirla (De Tocqueville, A., 2002, Scritti penitenziari, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, p. 66).
E ancora:
L’istruzione, anche quando non viene separata dalle credenze religiose, fa nascere una moltitudine di bisogni nuovi, che, se non sono soddisfatti, spingono al crimine quelli che li provano. Essa moltiplica i rapporti sociali. È l’anima del commercio e dell’industria, crea così fra gli individui mille occasioni di frode o di mala fede che non esistono affatto in seno a una popolazione ignorante e grossolana. È dunque nella sua natura aumentare piuttosto che diminuire il numero dei reati. Questo punto pare, del resto, oggi, piuttosto generalmente riconosciuto, poiché in Europa è stato osservato che i crimini sono in aumento nella maggior parte dei paesi nei quali l’istruzione è più diffusa. Del resto, noi diremo in quest’occasione la nostra opinione sull’influenza dell’istruzione, i suoi vantaggi ci paiono infinitamente superiori ai suoi inconvenienti. Essa sviluppa le intelligenze e sostiene tutte le industrie. Protegge sia la forza morale che il benessere materiale dei popoli. Le passioni che essa suscita, funeste alla società, quando niente le accontenta, divengono feconde di vantaggi quando possono raggiungere lo scopo che perseguono. Così l’istruzione diffonde sì fra gli uomini alcuni semi di corruzione, ma rende i popoli più ricchi e più forti. In una nazione circondata da vicini illuminati, essa non solo è un beneficio, ma è anche una necessità politica (De Tocqueville, A., 2002, Scritti penitenziari, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, pp. 66-67, nota 84).
De Tocqueville riteneva, dunque, che è nella natura dell’istruzione aumentare piuttosto che diminuire il numero dei reati.
Se questa idea vi sembra provocatoria, pensate al fatto che l’esecuzione di alcuni reati finanziari presuppone una conoscenza del funzionamento dei mercati e delle borse che pochi, anche tra le persone considerate colte, posseggono. Stesso discorso si può fare per i crimini informatici e per le azioni degli hacker: in alcuni casi, si tratta di possedere capacità e competenze che solo una élite di individui normalmente possiede. Si considerino poi i cosiddetti “reati propri”, reati, cioè, che possono essere commessi solo da persone che rivestono determinate posizioni sociali e che posseggono determinate conoscenze (funzionari pubblici, militari, professori universitari ecc.).
Insomma, alcuni reati sono possibili solo perché “si è istruiti”. Un “ignorante” non potrebbe mai commetterli. Alla luce di queste breve considerazioni, appare, dunque, comprensibile il monito del politologo francese sull’istruzione che fa aumentare piuttosto che diminuire il numero dei reati.
Ciò non vuol dire che l’istruzione sia una fucina di delinquenza, ma semplicemente che, come in tutte le cose umane, non si può assumere una posizione rigidamente manichea nei confronti di questo o quel fenomeno sociale.
Su questo e altri temi relativi alla criminalità, ho scritto in 101 falsi miti sulla criminalità, che naturalmente vi invito a leggere.