Nel suo celeberrimo Dei Delitti e delle pene, che – ricordiamolo – è del 1764, Cesare Beccaria, mentre discute di che cosa sia una pena giusta e pronta, improvvisamente afferma: «La carcere è dunque la semplice custodia d’un cittadino finché sia giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev’essere meno dura che si possa».
Si tratta di una frase che, dapprima, potrebbe lasciare sconcertati. Come? Nel carcere i rei sono tenuti solo fino al giudizio penale? E dopo che succede? In realtà, se si leggono queste parole da un punto di vista storico, si viene immediatamente a capo della faccenda. Il carcere non esiste da sempre, ma è un’invenzione relativamente recente, che, nelle vesti in cui lo conosciamo oggi, risale a circa tre secoli fa. L’origine delle moderne istituzioni penitenziarie risale, infatti, all’epoca dell’Illuminismo, anche se è solo nel XIX secolo che la pena privativa della libertà da scontare “dietro le sbarre” è diventata la pena per eccellenza. Prima del Settecento, le pene erano costituite prevalentemente da punizioni corporali (compresa la pena di morte), dall’esilio, dalla messa al bando, dalla deportazione. Il carcere esisteva, ma era relegato alla funzione di luogo di passaggio o di custodia in attesa della inflizione della pena propriamente detta. Più precisamente, esso aveva lo scopo di trattenere l’imputato dalla fuga nel periodo occorrente all’istruzione del suo processo. Una volta riconosciuta la colpa, questa si traduceva solitamente in una punizione corporale da infliggere all’esterno o all’interno del luogo di custodia.
Insomma, il carcere non esiste da sempre. Anche se ci fa un po’ specie che ci siano state epoche in cui la privazione della libertà non era contemplata come pena vera e propria. Non a caso, oggi, autori come Louk Hulsman, Thomas Mathiesen e Nils Christie propongono l’abolizione del carcere, in considerazione dei suoi “fallimenti” sia dal punto di vista deterrente (il carcere non evita che chi vi è finito dentro vi ritorni) sia dal punto di vista risocializzativo (il carcere non rende i detenuti “persone migliori”). Le loro proposte sono spesso considerate folli perché il nostro senso comune non riesce a immaginare una società senza carcere. Eppure, la detenzione è una “invenzione” recente, molto recente. Anche se spesso lo dimentichiamo o lo ignoriamo.
Per questo e altri luoghi comuni sulla criminalità rimando ai miei due ultimi libri: Delitti e 101 falsi miti sulla criminalità.