Perché le persone mostrano tanto interesse per il crimine? Perché amano vedere interminabili serie televisive dedicate a omicidi e rapine? Perché dedicano tanto tempo a notizie di cronaca nera che riguardano delitti efferati e raccapriccianti? Come mai ne parlano, sviluppano ipotesi, azzardano conclusioni? Potrebbe essere che i delitti svolgono una funzione sociale positiva?
Di questo avviso era, circa novanta anni fa, il celebre filosofo inglese Bertrand Russell (1872-1970), il quale, in un articolo scritto per un quotidiano americano il 21 dicembre 1932, proponeva le seguenti osservazioni:
Prendiamo il caso di un famoso assassino – un caso clamoroso – un uomo, diciamo, che dopo aver ucciso un avaro e solitario anziano l’ha sotterrato in giardino e che infine viene catturato per via di piccole particelle di argilla che gli sono rimaste attaccate alla suola delle scarpe. Ecco, un tal uomo renderà l’umanità più felice che la maggior parte dei filantropi del mondo. Non sto pensando solo agli eredi dell’avaro signore, né a quei poliziotti che otterranno una promozione per aver collegato il reato al suo autore; sto pensando piuttosto a tutte le milioni di cerchie familiari sparse nel mondo civilizzato che per un attimo dimenticheranno i loro litigi e la loro noia per l’emozione di un crimine clamoroso. Poche cose riescono infatti a infiammare allo stesso modo il cuore del pubblico.
Il delitto, dunque, per Russell suscita emozioni, eccita gli animi, distoglie dalla noia della vita quotidiana. Non solo. Il delitto consente, da un lato, di riscoprire la parte impulsiva, non civilizzata, della propria personalità, sotto forma di “caccia al delinquente” (n questo modo, si può spacciare per virtù quello che è un istinto antisociale represso). Dall’altro, il comportamento antisociale dell’assassino fornisce una soddisfazione sostitutiva al cittadino perbene, un surrogato emozionale che gli consente di superare le secche oscenamente noiose della vita di tutti i giorni.
Queste le sue parole:
La ragione dell’interesse universale per il crimine è abbastanza oscura. Credo si componga di due parti: la prima è il piacere della caccia; la seconda è il rilascio di fantasia nelle menti di coloro che vorrebbero commettere omicidi ma non osano farlo. […] Quando le persone rilasciano su un assassino i selvaggi impulsi del cacciatore di teste, non si sentono né selvaggi né cattivi; al contrario, credono di essere sostenitori della virtù e della buona cittadinanza. [Per quanto riguarda il secondo motivo] il comportamento dell’uomo civilizzato è più mite rispetto ai suoi impulsi, e il comportamento non civilizzato degli altri gli donerà una soddisfazione sostitutiva.
Da questo punto di vista i racconti polizieschi svolgono una funzione utile. Per l’immaginaria soddisfazione del comune cittadino rispettoso della legge, un omicidio in un libro sarà quasi come un vero omicidio (Bertrand Russell, “Interesse per il crimine” in Russell, B., 2017, Il trionfo della stupidità. Saggi americani 1931-1935, Piano B Edizioni, Prato, pp. 74-76).
Insomma, il delitto può svolgere una funzione positiva all’interno della società, anche se non siamo disposti ad ammetterlo. A questo argomento, ho dedicato un intero libro – Verso una criminologia enantiodromica. Appunti per un modo diverso di vedere il crimine (Aracne Editrice, 2015) – che mi auguro leggerete, anche perché offre un punto di vista decisamente eterodosso sulla criminalità e sulla devianza.