Nel passato, i fenomeni meteorologici erano causati dagli dei. Zeus lanciava sui mortali i suoi fulmini; Eolo dominava e dirigeva i venti; Nettuno scatenava le tempeste su mari e oceani. Nella Bibbia, Dio programmava il diluvio universale per punire le nefandezze degli uomini. Insomma, niente si muoveva in cielo che un dio non lo volesse.
Nella nostra epoca secolarizzata, i fenomeni atmosferici hanno perso qualsiasi aura mitologica e nessuno più crede che i fulmini vengano da Giove o che le navi affondino per causa di Nettuno. Eppure, da qualche tempo, complice la crescita esponenziale e ossessiva dell’interesse per le previsioni atmosferiche, assistiamo a un processo di rimitizzazione: è invalso l’uso di personalizzare con nomi e attributi piogge e ondate di calore: gli anticicloni africani sono diventati Caronte, Minosse e Lucifero, oppure condottieri come Annibale e Scipione. Ma anche imperatori come Nerone e Caligola. Negli Stati Uniti, cicloni e uragani assumono nomi più ordinari, come Harvey e Irma, ma non per questo meno temibili, mentre, in genere, le piogge intense sono “bombe d’acqua” o Summer Storms perché gli italiani percepiscono le parole straniere come più minacciose. Questo processo non ci induce ad adorare novelli dei, ma contribuisce sicuramente a una sorta di timore reverenziale, anzi ansioso, nei confronti del tempo, e a un incremento delle meteoropatie (depressione psichica e fisica, ipotensione, cefalea, agitazione, irritabilità e altro ancora).
Il tempo, infatti, causa ansia. Non è un caso che, ai tempi del fascismo, perfino le notizie sul meteo fossero censurate. Come ricorda Fabio Martini, nel suo La fabbrica della verità (Marsilio, 2017, p. 30),
il 29 gennaio 1935 la velina di giornata ricorda come il sottosegretario abbia già deplorato l’abitudine dei giornali di pubblicare fotografie, corrispondenze e titoli esagerati appena cade un po’ di neve. Per colpa di un fulmine la pubblicazione di «Stampa Sera» viene sospesa per alcuni giorni. Siamo nella fase che precede la guerra in Abissinia e il giornale del pomeriggio di proprietà della Fiat aveva pubblicato la foto di un temporale, solcato da un lampo. Titolo: Tempesta sull’Etiopia. In questo caso il giornale viene censurato perché il fulmine può alludere a una possibile tempesta bellica.
Già i censori, dunque, erano consapevoli dell’influenza delle notizie sul tempo, così come di quella delle notizie di cronaca nera. Gli italiani dovevano vivere nell’ottimismo e a minare l’ottimismo potevano intervenire anche le notizie di tuoni e lampi.
La rimitizzazione del meteo, oggi, è causa di agitazione e ansia. Non dico che bisogna tornare alla censura, ma almeno evitiamo i toni presbiterali quando parliamo di fenomeni atmosferici.