Capita a tutti noi, al rientro dalle vacanze, di confrontare le nostre impressioni di viaggio con amici, parenti, conoscenti, colleghi. In queste occasioni, riferiamo conoscenze di vario genere apprese durante la visita che si traducono spesso in giudizi definitivi su questo o quel paese. Tali giudizi assumono forma assoluta tramite formule come: “i francesi sono tutti…”; “i settentrionali si comportano…”; “in Africa, le persone…” ecc.
In quanto turisti, tendiamo a riferire queste conoscenze come “autentiche”, “valide”, “attendibili”, “veritiere”. Ma è davvero così? I turisti sono davvero affidabili quando si esprimono sulle caratteristiche, le qualità, i vizi e le virtù dei popoli che visitano in vacanza?
La risposta deve essere per lo più negativa. I turisti sono spesso inattendibili nei loro resoconti di viaggio. E questo per una serie di motivi.
Innanzitutto, essi basano le proprie affermazioni su visite affrettate della durata di poche ore o giorni nel corso delle quali hanno accesso a luoghi o esperienze programmate e stereotipate, ma limitate, che consentono l’acquisizione di informazioni e conoscenze “previste”. Ciò che non rientra nel “programma” viene escluso di norma dalla visita e considerato non significativo o tipico, sebbene possa fornire informazioni importanti sul luogo che si visita.
Il risultato è che il turista, tornato in patria o nel luogo abituale di vita, tenderà a confermare le conoscenze previste dal “programma” di viaggio. Convaliderà, dunque, nei suoi “rapporti di viaggio” l’idea stereotipata di partenza, inevitabilmente parziale, distorta, riduttiva, riferendola come “autentica”.
In secondo luogo, i turisti tendono a generalizzare a partire da singole esperienze: se capita loro una brutta avventura, ad esempio, tenderanno a proiettare il vissuto di quella esperienza sull’intero luogo visitato e sui suoi abitanti. Un comportamento brusco, una rapina, una truffa saranno sufficienti a bollare tutti gli abitanti del luogo come “antipatici”, “inospitali”, “truffaldini”, “infidi”. Al contrario, un incontro eccitante, un’accoglienza calorosa da parte dello staff dell’hotel in cui si soggiorna serviranno a estendere a tutta la popolazione del posto attributi positivi.
In terzo luogo, i turisti conferiscono agli eventi che capita loro di vivere un’importanza esagerata o sottovalutano aspetti che non colpiscono immediatamente la loro attenzione. Ogni esperienza vissuta in vacanza tenderà a essere interpretata come indicatore di strutture caratteriali, urbane, sociali, psicologiche più ampie e profonde. Ciò che non viene vissuto – per mancanza di tempo, per disinteresse, per indifferenza – non esiste o passa in secondo piano. Il turista è estremamente selettivo, ma ciò che colpisce la sua attenzione, sia in senso positivo sia in senso negativo, diviene immediatamente rappresentativo del luogo che visita.
In quarto luogo, i turisti tendono a prestare eccessiva fede alla parola di turisti precedenti, guide turistiche, libri di viaggio, aneddoti, notizie mal comprese dai locali. Queste informazioni “distorte” concorrono a costruire un’immagine inevitabilmente deformata e incompleta del luogo che si visita che, tuttavia, rispecchia per il turista la “verità delle cose”; verità che verrà trasferita come tale in commenti, racconti, resoconti resi ad amici e parenti.
Insomma, c’è qualcosa nel fatto di essere turista che favorisce la parzialità, la distorsione, l’inattendibilità delle conoscenze apprese. Il turista è generalmente inaffidabile. Anche se non lo ammetterà mai.