Può il semplice fatto di porre una domanda modificare il comportamento di un individuo? Per quanto possa sembrare bizzarro, la risposta è sì. Lo rivelano una serie di studi ormai classici, riassunti nel volume di Thaler e Sunstein La spinta gentile (Feltrinelli). Il capostipite di questi studi è probabilmente un articolo dello psicologo Steven Sherman intitolato On the Self-Erasing Nature of Errors of Prediction (1980) in cui si parla di “effetto della semplice misurazione” (mere-measurement effect) che è il termine attualmente in uso per descrivere questo fenomeno..
Gli esempi sono molteplici.
Quando agli individui si chiede se abbiano intenzione di mangiare certi cibi, stare a dieta o fare esercizio fisico, le risposte date alle domande influenzano il loro comportamento. Se si chiede alla gente, il giorno prima del voto, se intenda andare a votare, la probabilità che vada effettivamente a votare può aumentare anche del 25 per cento! Se si chiede a degli individui se hanno intenzione di comprare una nuova auto nei prossimi sei mesi, le percentuali di acquisto possono aumentare del 35 per cento. Ancora, se si chiede alle persone quante volte prevedono di usare il filo interdentale nel corso della settimana, l’uso del filo interdentale aumenta; se si chiede loro se intendano consumare cibi grassi, il consumo di cibi grassi diminuisce.
L’effetto della semplice misurazione potrebbe essere letto come una sorta di profezia che si autoavvera: il semplice fatto di presentare un comportamento a un individuo, tramite una domanda, fa sì che quel comportamento si avveri o, comunque, diventi più frequente. Questo perché un individuo a cui è posta una domanda, acquisisce una maggiore consapevolezza relativamente al contenuto della stessa e può decidere di agire in base a questa consapevolezza. L’esistenza di un effetto del genere impone però al sociologo un interrogativo di enorme interesse: è possibile che sottoponendo un individuo a una batteria di domande – ad esempio a un questionario – lo strumento non si limiti a descrivere una realtà, ma la crei? In altre parole, non potrebbe il sociologo stesso, con i suoi metodi, contribuire a creare la realtà che intende studiare? È un interrogativo inquietante, degno di essere affrontato seriamente in tutte le sue potenziali conseguenze. Si pensi, ad esempio, ai sondaggi politici o alle ricerche nel campo della sessualità. È del tutto stravagante pensare che proprio queste domande contribuiscano a favorire determinati comportamenti politici o sessuali? E, di conseguenza, che ne è della presunta neutralità del sociologo? A queste domande, la riflessione sulla metodologia della ricerca sociale ha dedicato importanti riflessioni, anche se non numerose. Sarebbe il caso di approfondire la questione e di rendere le persone consapevoli di questo interessante “effetto collaterale” del porre domande.