Qualche anno fa, parlando con un conoscente più grande di me, rimasi colpito da una sua osservazione. La discussione verteva su conoscenze di tipo filosofico e psicologico. «Non so quasi niente di filosofia e di psicologia», affermò candidamente il conoscente, «ma conosco diverse persone che ne sanno davvero tanto», concluse gongolante. Mi sono sempre chiesto perché una persona dovrebbe ostentare non le proprie conoscenze, ma la familiarità con persone in possesso di queste conoscenze. Non è in realtà una umiliante ammissione di ignoranza? Una deferenza imbarazzante alla superiorità di altri? Eppure, a ben pensarci, non è questo che fanno tutti i tifosi? Non è forse vero che i fan delle squadre di calcio gioiscono per le vittorie della propria squadra, anche se si sono limitati a guardarle in televisione? Da dove trae origine questo curioso fenomeno e quale ne è la spiegazione?
Nel 1976, gli psicologi Robert B. Cialdini, Avril Thorne, Richard J. Borden, Marcus Randall Walker, Stephen Freeman e Lloyd Reynolds Sloan pubblicarono sul Journal of Personality and Social Psychology i risultati di un curioso esperimento dal titolo ancora più curioso “Basking in reflected glory” (“Gongolare di gloria riflessa”). I ricercatori decisero di indagare un fatto strano, ma indubbiamente ubiquitario: perché molti individui amano rendere pubblici i legami che li accomunano ad altre persone di successo e a trarne una gloria vicaria, ma non per questo meno efficace? Questa tendenza, da essi definita BIRG (dalle iniziali di Basking in Reflected Glory), si verifica non solo quando chi “gongola” contribuisce in prima persona alla gloria della persona di successo, ma anche quando non vi contribuisce affatto. È il caso appunto del tifoso della squadra di calcio che gioisce per la vittoria della propria squadra “come se” avesse contribuito con un suo goal al successo della stessa.
Per indagare questa tendenza, i ricercatori eseguirono tre esperimenti. Nel primo, monitorarono gli indumenti indossati dagli studenti di alcune università americane il lunedì successivo allo svolgimento di una partita di football tra i giocatori delle stesse università e quelli di università rivali. Cialdini e gli altri notarono che quando la squadra di football della propria università vinceva nel fine settimana, gli studenti indossavano più frequentemente i colori della propria squadra il lunedì successivo rispetto a quando la squadra perdeva. Secondo i ricercatori, la spiegazione di questo comportamento sta nel fatto che gli studenti, ostentando pubblicamente la loro affiliazione alla università della squadra vincente, incrementavano la loro stima e il loro prestigio agli occhi degli osservatori esterni. Nel secondo e terzo esperimento, condotti rispettivamente su 173 e 170 studenti di una grande università americana, i ricercatori notarono la propensione dei soggetti ad adoperare più frequentemente il pronome “noi” nel commentare la vittoria della squadra di football della propria scuola rispetto alla sconfitta. In sede di commento conclusivo, i ricercatori osservarono: «Siamo dell’opinione che le persone rendono pubblici i loro legami non strumentali con fonti positive perché comprendono che gli osservatori di questi legami tendono a valutare allo stesso modo gli oggetti coinvolti in questi legami. Crediamo che la tendenza a “gongolare di gloria riflessa” sia un tentativo di procurarsi stima da parte di coloro che sono in grado di percepire il legame» (p. 374).
A ognuno di noi è capitato di assistere all’effetto BIRG in ambito calcistico. I tifosi sono radiosi quando la propria squadra vince, amano mostrarsi in giro, stringere mani, regalare pacche sulle spalle e sorrisi. Hanno il morale alle stelle. Dicono: «Noi abbiamo vinto». Sono, invece, abbattuti, tristi e depressi, quando la squadra del cuore perde e dicono: «Hanno perso». Per Cialdini e collaboratori, questo accade perché desideriamo avere un legame, per quanto flebile, con chi nella vita risulta vincente. È da legami come questo che traiamo autostima, prestigio, convinzione e una immagine positiva di noi stessi. Siamo dalla parte dei vincitori. E non facciamo caso al fatto che, in realtà, sono “gli altri” ad aver vinto, non noi. L’effetto BIRG contribuisce alla costruzione della nostra identità, delle nostre convinzioni e credenze. Non solo nello sport. Pensiamo a chi si fa fotografare accanto all’attore famoso, alla cantante del momento o allo scrittore di grido. A chi conserva autografi o altre “tracce” di celebrità. A chi trae gioia dal condividere il luogo di nascita o di residenza con un personaggio illustre. In altre parole, se entriamo in rapporto con individui o gruppi sociali che consideriamo socialmente meritori, la nostra autostima ne risulta accresciuta. I legami flebili con chi incarna il successo sono importanti per le persone. Importantissimi per gli appassionati di calcio. Anche se, forse, non saprebbero spiegare perché.