Le parole sono importanti. È uno slogan abusato, che corre il rischio di divenire inutile. Ma le parole sono importanti, perché costruiscono la realtà, le danno un’angolazione, forgiano la percezione, informano atteggiamenti e comportamenti. Si pensi al carcere. C’è tutto un lessico che avvolge la vita dei detenuti; un lessico infantilizzante, demoralizzante, che priva queste persone della dignità, oltre che della libertà.
Il detenuto, ad esempio, quando intende fare una richiesta fa la “domandina”, quasi fosse un alunno delle elementari; se si occupa delle pulizie diventa uno “scopino”; se si occupa delle spese dei suoi compagni di sventura è uno “spesino”. Lo ripeto: nemmeno alle elementari.
Di questo lessico inquietante e secolare si è accorto nel 2017 anche il D.A.P. (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) che ha emanato una circolare, forse sfuggita ai più, che invita a “dismettere l’uso sia verbale che scritto della terminologia infantilizzante e diminuitiva, nonché le interlocuzioni orali, soprattutto quelle dirette al detenuto”. La circolare non si limita a sanzionare questo linguaggio, ma propone dei termini sostitutivi: così la “domandina” diventa il “modulo di richiesta”, lo “scopino” l’“addetto alle pulizie”, lo “spesino” l’“addetto alla spesa detenuti”, lo “stagnino” l’“idraulico”, il “lavorante” il “lavoratore”, la “dama di compagnia” il “compagno di socialità” e così via. Potrete leggere il testo integrale della circolare qui.
Tutto bene, se non il termine proposto invece di “cella”: “camera di pernottamento”. Mi sembra una locuzione ipocrita, caricaturale, degna del peggiore politically correct. Ricorda i luoghi comuni sulle carceri come “hotel a cinque stelle”. Invece, no. I detenuti vivono in celle, non in camere di pernottamento. Scontano una pena, non trascorrono la notte in albergo per fare check-out il giorno dopo.
Cella non va sostituito. È la realtà dura degli istituti penitenziari, che niente ammorbidisce, nemmeno una modifica lessicale.
Cambiare le parole va bene, ma non quando si invita all’ipocrisia.