Gli psicologi sanno da tempo che vi è una stretta connessione tra lavoro e lamentele, rimostranze, pettegolezzi, voci. Per le sue caratteristiche nella società contemporanea, il lavoro assume spesso caratteristiche disumane, alienanti, insoddisfacenti che favoriscono la lagnanza come strumento di chiosa e compensazione delle svariate forme di sofferenza generate dal dedicare tante ore ad attività spesso inutili, avvilenti, mortificanti.
Lamentarsi diventa così uno dei pochi mezzi a disposizione per recuperare una dimensione umana, accettabile, significativa in ambienti sovente privi di significato.
Mi sono imbattuto di recente in una storia che pretende di essere vera, e forse lo è, ma che, se pure fosse falsa, sarebbe ben inventata. Si tratta di una storia che ha una certa pertinenza con il tema di questo post.
Questa storia emerge dai documenti della Magistratura dei Conservatori del mare di Genova, all’epoca della omonima Repubblica marinara massima autorità in materia marittima. In quel tempo, i lavori dei marinai erano estremamente faticosi e i relativi contratti potevano essere stipulati in due forme. La prima prevedeva una paga più elevata ma nessun diritto di “mugugnare” (termine, peraltro, di origine genovese). La seconda prevedeva un compenso più basso ma la possibilità di mugugnare, ossia di lamentarsi degli ordini ricevuti, che comunque dovevano essere eseguiti.
Sembra che il diritto al mugugno sia stato sospeso nel XVI secolo, con l’avvento dell’Ammiraglio Andrea Doria che promise ai marinai migliori condizioni di lavoro e paghe più alte, in cambio di ordine, disciplina e silenzio.
Vera o no che sia, questa storia ci segnala l’importanza cruciale dello ius murmurandi di antica memoria latina. Il mugugno è indispensabile in ambiente lavorativo in quanto soddisfa il bisogno individuale di dare sfogo alle amarezze provocate da capi e colleghi che ci rendono la vita difficile. Inoltre, compensa i sospetti di ingiustizia, lo stress della competizione, la mancanza di potere, l’ansia relativa alla posizione sociale. In altre parole, la repressione della lagnanza renderebbe insostenibile vivere in determinati contesti lavorativi, anche se il senso comune vuole che sia un comportamento riprovevole, da evitare il più possibile.
La verità è che lagnarsi serve. E serve anche al potere, che è sempre soddisfatto quando le pulsioni antisistemiche dei lavoratori sono attenuate, dirottate o rese innocue in un modo o in un altro. E la lagnanza è evidentemente funzionale al sistema perché, nella misura in cui le energie dei lavoratori sono dissipate verbalmente, invece che canalizzate contro i “padroni”, esso favorirà sempre la proliferazione di lagnanze.
Il lamento, in altre parole, assolve una funzione catartica ed è questa la ragione per cui è tanto praticato negli ambienti di lavoro.
E voi, accettereste di essere pagati di più senza la facoltà di lamentarvi?
Se volete sapere altro sulle “virtù” del pettegolezzo e della lagnanza, vi rimando al testo dell’antropologo Max Gluckman (1911-1975), da me tradotto, che ha proprio come oggetto l’analisi delle funzioni sociali di gossip and scandal (“pettegolezzi e maldicenze”).