Che cosa rende così attraenti i supereroi? Da Superman a Antman, da Batman a Ironman, da Black Panther a Thor, perché questi “personaggi di fantasia” esercitano un così profondo fascino su di noi? Che cosa ci spinge ad assistere con il fiato sospeso alle loro avventure impossibili, narrate in mondi impossibili, abitati da “cattivi” (villains) altrettanto impossibili?
Sappiamo tutti che quei superpoteri non esistono, che nessuno potrebbe volare, scagliare fulmini o ragnatele dalle mani, ricevere colpi micidiali senza battere ciglio, diventare invisibile e così via. Ciò nonostante, rimaniamo incollati allo schermo (televisivo o del cinema) fino alla fine della serie o del lungometraggio a fare il tifo per loro. E non importa se abbiamo 14 o 44 anni; se siamo maschi o femmine; bianchi o neri. I supereroi dominano il nostro immaginario e ci piace che lo facciano. Perché?
Tra le tante risposte possibili, una chiama in causa i meccanismi dell’identificazione e della proiezione. I supereroi sono di frequente uomini e donne mediocri o, almeno, ordinari, che vivono esistenze mediocri, o, in alternativa, frustranti, svolgendo lavori mediocri o anonimi (anche se potenzialmente rilevanti), ma che, in virtù di superpoteri acquisiti spesso in maniera casuale, riscattano la propria pochezza, maneggiando improvvisamente capacità superiori al resto dell’umanità.
Il superpotere giunge loro dall’esterno, fortuitamente e inaspettatamente, equivalente simbolico di una lotteria milionaria, e stravolge le loro vite, imponendo capacità e responsabilità impreviste con cui devono fare i conti per il resto della loro esistenza. Sono tenuti al segreto riguardo alla loro identità e vivono una doppia vita, consapevoli della loro distinzione rispetto al resto del mondo.
È facile, allora, capire perché gli spettatori amano identificarsi nelle loro vicende. La maggior parte di noi che guardiamo siamo persone altrettanto mediocri, ordinarie o frustrate che, immedesimandoci nel Superman o Capitan America di turno, riusciamo, almeno per qualche ora, a illuderci di avere dei superpoteri attraverso cui riscattare le nostre misere vite.
“Se solo fossimo come loro…” ci incita la nostra fantasia! E almanacchiamo su cosa faremmo se avessimo quel potere speciale che ci rende incredibilmente forti o invisibili. Proiettiamo così sui nostri supereroi i nostri limiti, superandoli in maniera vicaria, almeno per qualche tempo. E se qualcuno ci fa un torto nella vita reale, ci piace immaginare di avere capacità nascoste che ci consentirebbero di “fargliela vedere”.
Si potrebbe ipotizzare un rapporto direttamente proporzionale tra livello di frustrazione e capacità di immedesimazione. Più siamo frustrati, più tendiamo a indentificarci con i nostri superamici e più siamo avvinti dalle loro avventure.
Un elemento non trascurabile, tuttavia, ci differenzia dai supereroi. Nelle loro saghe, i vari Batman e Spiderman affrontano correttamente le responsabilità che accompagnano inevitabilmente i loro superpoteri. Per dire, è improbabile che uno di essi si vendichi del bullo che li tormentava da piccoli, del belloccio che gli sottrae la ragazza del cuore o del collega piaggiatore che ottiene la promozione immeritatamente al suo posto.
Noi sapremmo comportarci altrettanto responsabilmente? O useremmo i superpoteri per confermare in sostanza la nostra persistente mediocrità?