E se il termine “lapalissiano” – che significa “ovvio”, “scontato”, “chiaro”, “evidente” – traesse origine dalla cattiva interpretazione della divertente strofa da cui è nato?
Quasi tutti sanno che il termine deriva dal nome di un personaggio realmente esistito: il maresciallo di Francia Jacques II de Chabannes, signore di La Palice, morto nel 1525, dopo essere stato fatto prigioniero in seguito a una battaglia combattuta nei pressi di Pavia tra le forze francesi di Francesco I e quelle imperiali di Carlo V. In quella battaglia fu imprigionato lo stesso re Francesco I e il signore di La Palice fu uno dei tanti che ebbe la sventura di condividere la sua sorte.
In ogni modo, dopo la sua uccisione, nacque, ad opera dei suoi soldati, una curiosa strofa, probabilmente per ricordarne la figura, che recitava, fra l’altro:
Hélas! la Palice est mort,
il est mort devant Pavie ;
Hélas! s’il n’estoit pas mort,
il seroit encore en vie.
[Ahimè! La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
Ahimè! se non fosse morto,
sarebbe ancora in vita].
Recitata in questo modo, la strofa esprime una verità… lapalissiana: è, infatti, evidente che un quarto d’ora prima di morire il maresciallo fosse ancora in vita. Secondo alcuni, tuttavia, la versione originale della strofa sarebbe stata la seguente:
Hélas! la Palice est mort,
il est mort devant Pavie ;
Hélas! s’il n’estoit pas mort,
il feroit encore envie.
[Ahimè! La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
Ahimè! se non fosse morto,
farebbe ancora invidia].
Se dobbiamo prestare fede a quest’ultima versione, è possibile che un errore ortografico abbia trasformato la “f” originaria (il feroit encore envie, “farebbe ancora invidia”) in una “s” (il seroit encore en vie, “sarebbe ancora in vita”) e la parola envie (“invidia”) nell’espressione en vie (“in vita”).
Bazzecole, potrebbe commentare qualcuno. Ma la sostanza cambia decisamente. Nel primo caso, abbiamo il terreno di coltura del termine “lapalissiano”, nel secondo una strofetta qualsiasi, nemmeno degna di memoria.
Insomma, il signore di La Palice non sarebbe più ricordato oggi, se un errore ortografico non avesse reso così unica la sua memoria!
…certo che parlare di errore di ortografia e poi scrivere “Se dobbiamo”…fa quantomeno sorridere 😉
Perché? Si chiama periodo ipotetico della realtà: se + indicativo (presente, passato o futuro) nella protasi + indicativo (presente, passato o futuro) nell’apodosi e serve a presentare l’ipotesi come un fatto reale o plausibile, come in questo caso.