È nota l’ambiguità che circonda pratiche come il tatuaggio e i graffiti, da un lato accettate e normalizzate, seppure a certe condizioni, dall’altro ancora oggetto di sospetto, divieti, riprovazioni. Un tempo, tatuarsi era proprio di criminali e marginali. Oggi, è un comportamento mainstream, non senza qualche riserva. Ciò è già evidente se ne esaminiamo l’origine.
Secondo la Genesi, il primo tatuato della storia fu Caino, la cui discendenza fu maledetta. Il tatuaggio, più propriamente, segno di Caino ebbe una funzione tutelare. A Caino che, dopo il fratricidio di Abele, si lamentava: «“Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo, ed io dovrò nascondermi dalla tua faccia, sarò errante e fuggiasco sulla terra, ed avverrà che chiunque mi incontrerà potrà uccidermi”» (Genesi 4, 14), Dio risponde: «“Non così, perché chiunque ucciderà Caino, riceverà una punizione sette volte maggiore”. Allora, il Signore mise un segno su Caino, affinché chiunque lo incontrasse, non lo uccidesse» (Genesi 4, 15). Il tatuaggio nasce così come «un marchio che contrassegna coloro che hanno commesso un crimine o che non sono considerati umani a tutti gli effetti» (Castellani, A., 2014, Storia sociale del tatuaggio, Donzelli, Roma, p. 13). Del resto, più avanti, nel Levitico, tra le varie leggi troviamo, «Per un morto, non fatevi incisioni sulla vostra carne in segno di lutto, né fatevi addosso alcun tatuaggio» (Levitico 19, 28), divieto ribadito anche in Levitico 21,5: «Non si faranno tonsura sul capo, non si raderanno i lati della barba, né si faranno tatuaggi sul corpo» e in Zaccaria 13, 6: «E gli si dirà: Che son mai queste cicatrici tra le tue mani? Ed egli risponderà: Sono stato ferito nella casa di coloro che mi amavano». All’epoca, il tatuaggio era applicato soprattutto agli schiavi per designare il loro padrone e ai fedeli a designazione della divinità protettrice. L’ambiguità che circonda ancora oggi il tatuaggio è, dunque, già nella Bibbia, il testo del primo tatuaggio. Il tatuaggio serve a proteggere, ma è anche oggetto di condanna; designa il criminale non per condannarlo, ma per preservarlo. Al tempo stesso, pur essendo segno di protezione, stigmatizza chi commette l’omicidio perché chi incontra Caino, apprende dal segno che la persona che ha di fronte è un criminale, pur sapendo di non doverlo toccare. Il primo tatuatore è dunque Dio. Ma neppure lui sfugge all’ambiguità del segno.
Come fu il primo tatuatore, Dio fu anche il primo writer. In Daniele 5 si narra una storia misteriosa e inquietante. Il re Baldassare dà una grande festa durante la quale sono adoperati i vasi d’oro e d’argento asportati dal tempio di Gerusalemme. «In quell’istante apparvero le dita di una mano d’uomo che scrivevano, di fronte al lampadario, sull’intonaco della parete del salone reale; il re vide l’estremità della mano che scriveva» (Daniele 5, 5). Baldassare, atterrito, fa chiamare maghi, caldei e astrologi affinché interpretino la scritta, promettendo grandi ricompense. Nessuno di essi, però, riesce nel compito. Su invito della regina, allora, il re convoca il profeta Daniele, il quale, rifiutando ogni ricompensa, così interpreta: «Questa è la scrittura che è stata tracciata Mené, Techel e Parsìn. Ed ecco la spiegazione delle parole: Mené: Dio ha misurato il tuo regno e vi ha posto fine. Techel: sei stato pesato sulla bilancia e il tuo peso si trova scarso. Parsìn: il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani» (Daniele 5, 25-28). Quella stessa notte Baldassare viene assassinato.
I graffiti biblici sono portentosi e densi di significati funesti. Lo stesso accade oggi: da un lato c’è chi li considera un’arte, una meraviglia espressiva umana; dall’altro c’è chi li considera una disgrazia estetica, un comportamento incivile, presagio di rovina e decadenza urbana. Il loro status oscilla pericolosamente tra il riconoscimento artistico e la condanna morale e amministrativa (basti pensare alle battaglie di certi sindaci contro le scritte sui muri). In ogni caso, The writing is on the wall, come dicono gli inglesi per rimarcare il carattere profetico di ciò che viene tracciato sui muri. Tracce che profetizzano il male e il bene; ciò che è funesto e ciò che allieta la vista: «una saggezza sovversiva, se non proprio oltremondana» (Dal Lago, A., Giordano, S., 2016, Graffiti. Arte e ordine pubblico, Il Mulino, Bologna, p. 30). Tanta ambiguità risale alla Bibbia.
Forse è per questo che ancora oggi non riusciamo ad avere un atteggiamento omogeneo nei confronti di tatuaggi e graffiti. Comportamenti elogiati e odiati; ambiti e disprezzati. Del resto, se non ci riesce la divinità…