Che cos’è la stupidità? Secondo l’efficace metafora mefistofelica di Horkheimer e Adorno, è una cicatrice: una cicatrice che si forma quando quella singolare antenna che, sin dalla nascita, proiettiamo nel mondo esterno e che prende i nomi di “curiosità”, “intelligenza”, “vivacità”, “speranza” viene ostacolata, impedita, violentata o addirittura recisa dalla società violenta, ossia da coloro – famiglia, coniugi, amici, compagni di studio, colleghi, politici, decisori, economisti – che, invece di consentirne la massima estensione, volontariamente o involontariamente, fanno di tutto per opporvisi.
Frustrazione, ostinazione, fanatismo, codardia, cattiveria sono solo alcune delle pessime abitudini che il mondo conosce e che adopera per atrofizzare la nostra delicata antenna e lasciare al suo posto un corpo calloso che Horkheimer e Adorno chiamano, appunto, stupidità.
La stupidità non è, dunque, una qualità innata, ma il risultato di un’interazione tra le nostre facoltà e il mondo esterno; non è una caratteristica intrinseca, ma il precipitato del nostro continuo dialogo con la società.
Horkheimer e Adorno adottano una prospettiva chiaramente interazionista e sociologica nel descrivere, seppure brevemente e in forma di appunto, la genesi della stupidità nel contesto di un’opera famosa, Dialettica dell’illuminismo, pubblicata per la prima volta nel 1947 ad Amsterdam, dopo una sconvolgente guerra mondiale e dopo il crollo di un ancora più sconvolgente regime nazista che, dell’attacco all’intelligenza, all’antenna mefistofelica, aveva fatto la sua bandiera.
In quel periodo, molti corpi erano rimasti paralizzati non solo fisicamente a causa della guerra materiale, ma anche intellettualmente perché la guerra è un attentato continuo alla riflessione e alla ragione; un tentativo incessante di recidere l’antenna e creare cicatrici esiziali o almeno destinate a rimanere per sempre; non dissimilmente dai numeri che i nazisti tatuavano sulle braccia delle loro vittime internate nei campi di concentramento a memoria perpetua, anche in caso di sopravvivenza, della loro condizione subumana e disumana.
La stupidità diviene, così, un cancro interno e sempiterno quasi impossibile da estirpare così come è impossibile che un’antenna recisa ricresca o sostituisca la cicatrice che ha preso il suo posto. E allora, se la stupidità è la lesione dello spirito paralizzato dal terrore, oggi la stupidità è la paralisi causata dall’eccesso di informazioni e di dati, dal traboccare di notizie indecifrabili o false, dalla disinformazione e dalla malinformazione, dall’overkill conoscitivo da cui siamo circondati che rende quasi impossibile orientare l’antenna nel verso giusto.
Stupidi per eccesso, non per deficienza, dunque. Nel nostro mondo, sembra che nulla ci sia vietato, interdetto, proibito, ma l’effetto è lo stesso riferito da Horkheimer e Adorno:la speranza si arresta, le nostre facoltà si pietrificano e tutti noi continuiamo, ancora una volta, a vivere sotto un bando.
Di seguito: Sulla genesi della stupidità di Horkheimer e Adorno
Il simbolo dell’intelligenza è l’antenna della chiocciola «dalla vista tastante» che, secondo Mefistofele, le serve anche per odorare. L’antenna si ritira subito, davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo, torna a fare una sola cosa col tutto, e solo con estrema cautela si avventura di bel nuovo come organo indipendente. Se il pericolo è ancora presente, torna a sparire, e l’intervallo fino alla ripetizione del tentativo aumenta. La vita spirituale è, alle origini, infinitamente fragile e delicata. La sensibilità della chiocciola è affidata a un muscolo, e i muscoli si allentano quando il loro gioco è impedito. Il corpo è paralizzato dalla lesione fisica, lo spirito dal terrore. Questo e quella sono, all’origine, inseparabili.
Gli animali più sviluppati devono se stessi alla maggiore libertà, la loro esistenza è una prova che delle antenne furono allungate un tempo verso nuove direzioni, e non furono respinte. Ognuna delle loro specie è il monumento funebre di infinite altre, il cui tentativo di divenire è stato frustrato fin dall’inizio; che soggiacquero al terrore fin da quando un’antenna si mosse nel senso del loro divenire. Il soffocamento delle possibilità da parte della resistenza immediata della natura esterna continua all’interno con l’atrofizzarsi degli organi sotto l’azione del terrore. In ogni sguardo curioso di un animale albeggia una nuova forma di vita, che potrebbe emergere dalla specie determinata cui appartiene l’essere individuale. Non è solo la determinazione specifica a trattenerlo nella guaina del suo vecchio essere: la violenza che incontra quello sguardo è quella, antica di milioni di anni, che lo ha fissato da sempre al suo stadio e blocca, opponendosi sempre di nuovo, i primi passi per superarlo. Quel primo sguardo vacillante è sempre facile da spezzare; poiché ha dietro la buona volontà, la fragile speranza, un’energia costante. L’animale diventa, nella direzione da cui è stato definitivamente respinto, stupido e schivo.
La stupidità è una cicatrice. Essa può riferirsi a una capacità fra le altre, o a tutte le facoltà pratiche e intellettuali. Ogni stupidità parziale di un uomo segna un punto dove il gioco dei muscoli al risveglio è stato impedito anziché favorito. Con l’impedimento cominciava, in origine, la vana ripetizione dei tentativi inorganici e maldestri. Le domande senza fine del bambino sono già sempre il segno di un dolore segreto, di una prima domanda a cui non ha avuto risposta e che non sa porre nella forma giusta. La ripetizione ha qualcosa dell’ostinazione giocosa, come quando il cane salta senza fine davanti alla porta che non sa ancora aprire, e finisce per desistere se la maniglia è troppo alta, e qualcosa della coazione senza speranza, come quando il leone nella gabbia va infinitamente su e giù, e il nevrotico ripete la reazione di difesa che è già stata vana una volta. Quando le ripetizioni si spengono nel bambino, o se l’impedimento è stato troppo brutale, l’attenzione può rivolgersi altrove, il bambino è più ricco d’esperienza, come si dice, ma è facile che resti, nel punto in cui la voglia è stata colpita, una cicatrice impercettibile, una piccola callosità, dove la superficie è insensibile. Queste cicatrici danno luogo a deformazioni. Possono creare «caratteri» duri e capaci, possono rendere stupidi – nel senso della deficienza patologica, della cecità e dell’impotenza, quando si limitano a stagnare; nel senso della malvagità, dell’ostinazione e del fanatismo, quando sviluppano il cancro verso l’interno. La buona volontà diventa cattiva per la violenza subita. E non solo la domanda proibita, anche l’imitazione interdetta, il pianto o il gioco temerario vietati, possono produrre di queste cicatrici. Come le specie della serie animale, anche i livelli intellettuali entro il genere umano, e i punti ciechi in uno stesso individuo, segnano le stazioni a cui la speranza si è arrestata, che attestano nella loro pietrificazione, che tutto ciò che vive è sotto un bando (Horkheimer, M. Adorno, T. W., 1980, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, pp. 273-275).