Può la storia essere paragonata a una nuvola in cui scorgiamo pareidolicamente un volto o una figura dotata di senso? In tutti gli esseri umani vi è la tendenza – fortissima – a ravvisare un senso nelle vicende della storia, dopo che queste si sono verificate, a individuare un disegno, un progetto, forse di origine divina o cospiratoria, che dia senso al tutto. Ci sono, ad esempio, quelli che ritengono che gli esseri umani progrediscano ineluttabilmente e che la storia sia un moto continuo in avanti. Ci sono quelli che vedono cicli alternarsi secondo il movimento di un eterno ritorno. Ci sono anche quelli che pensano di riconoscere nei fatti della storia, tracce indubitabili di una decadenza che porterà, infine, al tramonto dell’umanità. Marx, Nietzsche e Spengler, rispettivamente, sono alcuni dei rappresentanti di queste tendenze.
Io credo che l’attribuzione di senso alla storia sia, più che altro, una operazione intellettuale, una razionalizzazione ex post, argomentata in base a credenze e teorie che ci spingono, in ultima analisi, a vedere in ciò che succede un volto piuttosto che un altro, una configurazione rispetto a un’altra.
La pensava così anche un filosofo italiano solitario e inattuale, oggi non molto noto, come Giuseppe Rensi, il quale, nel suo La filosofia dell’assurdo (1937) scriveva:
Non c’è fato né finalità. Non c’è una necessità logica precedente dell’accadere degli eventi in un senso o in un altro. Come avevano benissimo veduto Hume e Leopardi, tale necessità non è che (in linguaggio kantiano) una Gedankending, un ens rationis, un disegno che la nostra mente compone nei fatti quando sono già avvenuti, precisamente come il disegno regolare che il nostro occhio scova e compone ad arbitrio nei ghirigori d’una tappezzeria, o il ritmo che il nostro orecchio riesce a comporre nel romore del treno in corsa. Ma nell’accadere dei fatti non v’è che il loro semplice accadere, non anche questa precedente necessità logica del loro accadere così e così, la quale, determinazione mentale com’è, può tanto poco essere insita in fatti per sé muti e ciechi, quanto poco può essere insita in una nuvola la figura d’uomo o di animale che, fissando con una certa intenzione la nuvola stessa, noi vi scorgiamo.
La storia di per sé non ha alcun fine. Siamo noi ad attribuirglielo dopo che si sono verificati i fatti. Solo che le nostre razionalizzazioni sanno essere così convincenti che spesso dimentichiamo che siamo noi a crearle. Dimentichiamo che quella forma di coniglio nella nuvola, c’è perchè la vediamo noi. Nella nuvola non c’è alcun coniglio. Ancora Rensi:
La storia di per sé è un mondo di infinite possibilità.
L’universo […] visto da ogni momento all’indietro risulta assolutamente necessitato, visto da ogni momento all’innanzi assolutamente casuale. […].
Tutta la storia procede […] per caso, per caso cieco, ossia per assurdi.
Rensi, G., 1991, La filosofia dell’assurdo, Adelphi, Milano.