Nelle lettere di Berlicche di Clive Staples Lewis (1898-1963), scrittore, saggista e teologo britannico, autore delle celebri Cronache di Narnia, il demone Berlicche consiglia al nipote Malacoda, desideroso di apprendere i metodi migliori per perdere l’anima degli uomini, di non usare le scienze come difesa contro il cristianesimo. «Quelle scienze altro non potrebbero fare che incoraggiarlo a pensare alle realtà che non può toccare né vedere. […]. Se deve guazzar nella scienza, mantienilo nell’economia e nella sociologia; non permettere che si allontani da quell’impagabile “realtà della vita”» (Lewis, 1998, p. 8). Le scienze – vere – costringono gli uomini a prestare attenzione ai problemi dell’universo, allontanandoli dalla «corrente delle immediate esperienze sensibili» (Lewis, 1998, p. 6). Economia e sociologia, invece, sono immerse fino al collo nell’esperienza dei sensi, circostanza che le rende adeguate a soddisfare gli scopi di Satana.
«Il tuo lavoro» dice Berlicche a Malacoda «dev’essere quello di fissare la sua [dell’uomo] attenzione su questa corrente. Insegnagli a chiamarla “la realtà della vita”, senza permettere che si chieda che cosa intende dire quando dice “realtà”» (Lewis, 1998, p. 6).
Per dannare l’uomo, è preferibile che questi non rifletta su ciò che è straordinario e impercettibile ai sensi – all’aldilà – ma rimanga nell’ordinario, nella realtà quotidiana come appare ai suoi occhi. Dal momento che economia e sociologia sono scienze dell’ordinario, esse possono essere utili allo scopo di deviare i pensieri dell’uomo da ciò che conta davvero – ad esempio, Dio – per lasciarli imputridire in ciò che è terrestre, sensibile e quotidiano.
Economia e sociologia diventano, dunque, in Lewis, scienze della perdizione umana, armi del diavolo per condannare l’umanità all’Inferno.
In realtà – potremmo obiettare a Lewis – “Dio” si nasconde spesso proprio nell’ordinario, nell’abituale, nel quotidiano e il compito della sociologia è quello di dimostrare come anche l’ordinario, l’abituale e il quotidiano siano più complessi di quanto sembrino e celino spesso meccanismi “divini” che presiedono a quelle “immediate esperienze sensibili”.
Le scienze “dure”, allontanando uomini e donne da ciò che è sensibile, possono risultare molto più utili alla causa del demonio di quanto Berlicche pensava. È nella vita di tutti i giorni che le persone sono immerse ed è lì che, metaforicamente, si può scoprire l’essenza della divinità.
Parafrasando una nota battuta (“Il più grande inganno del demonio consiste nel farci credere che esso non esiste”), potremmo dire: Il più grande inganno del demonio consiste nel farci credere che la realtà sia meramente ordinaria. E che non abbia nulla a che fare con la divinità. Ma a questo ci pensa la sociologia.
Fonte:
Clive Staples Lewis, 1998, Le lettere di Berlicche, Mondadori, Milano.