L’anno è il 1969. Cinquanta anni fa. Il mese è settembre. Il giorno è l’8. Meno di due mesi dopo l’allunaggio dell’Apollo 11. Meno di tre dal giorno in cui sono nato (24 giugno). Il luogo è Caserta.
Al termine della stagione calcistica 1968-1969, un episodio di corruzione, apparentemente marginale, sconvolge un’intera città. Nel campionato di Serie C, la Casertana, totalizzando 56 punti, ha la meglio sul Taranto, fermo a 54, e conquista il diritto a partecipare, per la prima volta nella sua storia, al campionato di Serie B. Caserta è in tripudio, si festeggia a lungo. L’emozione è fortissima in una città da tempo relegata ai margini del calcio (e della vita) che conta. Pochi mesi e una doccia fredda che sembra una esondazione travolge tutto e tutti. La notizia corre rapida sulla bocca di uomini e donne: un giocatore della Casertana, il veronese Renzo Selmo, ha tentato di corrompere il terzino del Trapani, Renato De Togni, suo compaesano, in occasione dell’incontro Trapani-Casertana, disputatosi il 18 maggio e vinto dalla Casertana per una rete a zero. Il risultato era stato fondamentale ai fini della vittoria finale della squadra campana.
Le indagini provano il tentativo di corruzione e, l’8 settembre, la Commissione disciplinare della Lega semiprofessionisti di Firenze infligge alla Casertana una penalizzazione di sei punti che la fa retrocedere al secondo posto in classifica dietro il Taranto, che conquista a tavolino la promozione in Serie B.
Mentre nella città pugliese si festeggia, le reazioni a Caserta sono furiose e immediate. Presagendo una giornata calda, in città confluiscono forze dell’ordine provenienti da Nettuno, Foggia e Napoli. E infatti la giornata è caldissima. Manifestanti occupano la stazione ferroviaria, impedendo la partenza dei treni, e i campetti antistanti la Reggia. Il traffico è paralizzato da vari blocchi umani disposti lungo le principali arterie urbane. Autoveicoli di vario genere vengono posti di traverso nelle strade più importanti. Vengono accesi falò in diversi punti. Nella centrale via Cesare Battisti, un camion di barbabietole viene rovesciato e il suo contenuto utilizzato contro le forze dell’ordine. L’UPIM, posta sulla stessa strada, viene devastata. Si verificano sassaiole nei confronti della polizia che risponde lanciando bombe lacrimogene. Sono dati alle fiamme cartelloni pubblicitari e segnali stradali. Sono distrutte insegne, vetrate e serrande. I manifestanti prendono d’assalto redazioni di giornali e banche. Bloccano il casello autostradale di Caserta Nord e tentano di incendiare un autogrill nei pressi del casello di Caserta Sud. La stazione ferroviaria è presa più volte di mira con bombe molotov approntate dai rivoltosi. Un manifesto a firma del sindaco Salvatore Di Nardo «invita la cittadinanza a manifestare con tutti i mezzi consentiti lo sdegno e la protesta più viva avverso il grave e farsesco provvedimento, di cui si chiede l’annullamento» (in pratica una sorta di incitamento alla rivolta). La calca costringe la Questura a rilasciare otto persone arrestate in seguito agli incidenti, come nemmeno durante la Rivoluzione Francese.
Il giorno dopo, il 9 settembre, la protesta continua e Caserta sembra il teatro di una guerra civile. «Il pane non è distribuito e comincia a scarseggiare anche l’acqua […]. Tutto quello che è considerato simbolo dello Stato viene distrutto. Scuole e poste, fino ad arrivare agli Uffici finanziari non senza dimenticare le sedi di alcuni Enti» scrivono Massimo Iannitti e Giovanni Fiorentino, autori di un libro sulla vicenda. Si succedono drammatiche scene di guerriglia urbana con tanto di assalti a edifici, barricate, falò di documenti burocratici, scorrerie, cancelli sradicati, scontri con la polizia con parecchi feriti dall’una e dall’altra parte, nuove incursioni alla stazione ferroviaria. Si diffondono perfino voci relative alla morte di un bambino di otto anni e di altre due persone; voci che finiscono con l’esacerbare ulteriormente gli animi. Presto, la rivolta, da sportiva, diventa sociale e politica (siamo pur sempre nei dintorni del 1968). I quotidiani anglofoni la definiscono soccer war (“guerra del calcio”); quelli spagnoli parlano di revoluciòn. Per una manciata di intensissimi giorni, le vicende di una città marginale trovano spazio nell’informazione nazionale e straniera. Ora anche a Bristol e Salamanca sanno che cos’è Caserta.
La calma ritorna solo il 10 settembre, dopo ben due giorni di duri scontri. I danni ammontano a circa un miliardo di lire. Un centinaio le persone arrestate. Pochi giorni dopo la missione di Apollo 11 sulla Luna. Pochi giorni dopo la mia nascita.
La sentenza di condanna della Casertana viene ribadita il 19 settembre dalla Commissione d’Appello Federale, ma questa volta la protesta cede alla rassegnazione. La Casertana torna mestamente in Serie C. Riuscirà a risalire nella stagione 1970-1971.
Di recente (il 6 luglio 2013) il canale televisivo Rai Storia ha dedicato un servizio alla “rivolta del pallone” di Caserta. Oggi la città di Terra di Lavoro è un comune anonimo, negligente, inerte, perennemente agli ultimi posti delle classifiche nazionali sulla qualità della vita in Italia.
C’è chi dice che solo un’altra rivolta potrebbe risollevarne le sorti. Magari non del calcio. Ma i casertani sono stanchi, neghittosi, paciosi. Vivono compiaciuti nel loro acquitrino sociale da cui non riescono (e forse non vogliono) emergere. Per provare qualche emozione calcistica tifano Napoli perché – dicono – è sempre una squadra campana e bisogna fare il tifo per le squadre del sud. Anche se per Caserta nessuno fa più il tifo. Intendo la città, non la squadra che arranca anonimamente nel girone C della Serie C.
Sono passati cinquanta anni dalla rivolta del pallone. Mi sembra giusto ricordarla. A quando una rivolta meno effimera?
Fonte: Massimo Iannitti, Giovanni Fiorentino, 2009, Caserta 1969. La rivolta del pallone, Erregraph Editore, Caserta.