Scritto nel 1832 e pubblicato nel 1834, il Dialogo di un Venditore di almanacchi e di un Passeggere di Giacomo Leopardi rappresenta una delle più celebri riflessioni su quella che potremmo definire “psicologia del nuovo anno”.
Perché tante persone si scambiano corposi auguri conditi da abbondanti cibi e bevande il 31 dicembre? Perché si ripone tanta speranza nell’anno venturo, quasi che possa essere diametralmente diverso rispetto all’anno appena trascorso? Perché ciò avviene a dispetto dell’esperienza che ci insegna che gli anni passati non sono stati necessariamente anni felici, anzi talvolta disastrosi e funesti?
Prendiamo il 2024. Pensiamo davvero che lo scoccare della mezzanotte farà svanire le guerre che attualmente si combattono tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas? Che la pace si imporrà per magia a popoli afflitti da mille rancori e motivati da bellicosità che affondano le loro radici nel tempo? Crediamo davvero che la disoccupazione svanirà d’un tratto, che i femminicidi si ridurranno a zero e che cancro e leucemia non mieteranno più vittime?
Se ponessimo queste domande a un campione della popolazione riscontreremmo risposte “realistiche”, se non disilluse. Ognuno di noi sa, in cuor suo, che il prossimo anno non sarà molto diverso da quello trascorso e potrà essere addirittura peggiore.
E allora perché festeggiamo?
Per “l’ignoranza del futuro e una illusione della speranza”, come dice Leopardi in un passo dello Zibaldone che potrebbe fare da commento al Dialogo di un Venditore di almanacchi e di un Passeggere.
Nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiamo provato più male che bene; e se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l’ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione o ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti (1 luglio 1827).
La psicologia dell’anno che verrà è sostanzialmente una psicologia delle aspettative illusorie. Sono queste a far sì che il futuro ci appaia roseo e foriero di felicità, nonostante le delusioni o, almeno, il “realismo” predicato dal tempo vissuto. È la speranza di ciò che ci immaginiamo e ci illudiamo possa accadere a indurci a guardare con ottimismo al futuro.
Questa illusione è affine a tante “fallacie” dell’ottimismo che caratterizzano la mente umana. Gli psicologi ricordano al riguardo:
il “bias ottimistico”, ossia la tendenza delle persone a considerarsi meno soggette a eventi negativi e più soggette ad eventi positivi rispetto alla media della popolazione (fenomeno osservato in un gran numero di situazioni, dagli incidenti automobilistici ad alcune forme di depressione);
il “ricordo roseo” (traduzione dell’inglese rosy retrospection), ossia la tendenza a ricordare gli eventi del passato in maniera più positiva di quanto siano stati effettivamente (il meccanismo agisce soprattutto nel caso di eventi moderatamente piacevoli);
l’“illusione di controllo”, ovvero la tendenza a ridimensionare i fattori indipendenti dal nostro intervento e ad attribuire a noi stessi un potere di controllo superiore a quello reale (si esprime nella convinzione che le situazioni negative o a rischio possano essere controllate dalla propria abilità, anche quando questa non ha molto a che fare con gli eventi);
la “sicumera” (traduzione dell’inglese overconfidence), ossia l’incrollabile fiducia nei propri giudizi nonostante l’accertata inattendibilità delle proprie valutazioni (le persone tendono costantemente a ritenere la propria valutazione migliore, più saggia, più adeguata ecc. di quanto non sia in realtà);
l’“effetto terza persona”, forma di ragionamento in base alla quale si è indotti a pensare di essere meno vulnerabili e suscettibili all’influenza sociale di quanto non lo siano gli altri (è il caso di chi pensa che i messaggi pubblicitari abbiano effetto sugli altri ma non su di sé, o di chi pensa di essere più furbo degli altri quando si tratta di truffe e inganni);
l’“effetto del falso consenso”, ossia la tendenza delle persone a ritenere che i propri atteggiamenti, credenze, opinioni e comportamenti siano agevolmente condivisi dagli altri (è una forma di egocentrismo, dovuta al fatto che le persone sono portate a pensare a sé stesse come persone normali che fanno cose normali e condivise da tutti);
l’“autoinganno”, ossia il processo psicologico per il quale sono accettati come veri o validi fatti, opinioni, scritti ecc. che sono falsi o non validi.
Insomma, c’è qualcosa nella mente umana che predispone verso l’ottimismo nei confronti del futuro (ma anche del passato), anche a costo di distorcere la realtà. Gli esseri umani tendono a immaginare che il tempo che verrà sarà più felice di quello passato, così come, per lo più, sopravvalutano i fatti che riguardano se stessi, pensando di essere più bravi, intelligenti, capaci degli altri. Inoltre, tendono a sottostimare i propri difetti attribuendosi più virtù. Secondo la psicologia, l’arte di “vedere roseo” e, quindi, di ingannare sé stessi, è indispensabile per la sopravvivenza della specie umana perché permette di sopportare i grandi e piccoli dolori della vita, compresa l’idea della morte, e di continuare a vivere nel migliore dei modi possibili.
Un certa dose di abbaglio è, dunque, indispensabile alla sopravvivenza.
Il 31 dicembre si brinda a un’illusione e si pasteggia con le pietanze dell’autoinganno. E sebbene il vitto del passato sia stato spesso indigesto, crediamo che, in virtù del “caso”, come dice Leopardi, esso sia destinato a essere squisito e leggero.
Illusioni e autoinganni. Sono questi che ci tengono in vita.
E allora…prospere illusioni!
Dialogo di un Venditore di almanacchi e di un Passeggere
Giacomo Leopardi (1832)
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest’anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Complimenti per l’ottima, ma in fondo non ottimistica, analisi, Romolo.
Condivido e, subito dopo, a farmi la mia dose d’illusione!
Se non fosse per le illusioni…