Aprile 2013 ha esordito con una notizia che ci ricorda l’irresistibile tendenza apofenica della nostra mente: la tendenza, cioè, di noi umani a rinvenire connessioni significative – in questo caso all’insegna del mistero – tra eventi tra loro indipendenti.
La notizia è relativa a quella che i giornali italiani hanno già battezzato “la maledizione di Osama”: il (presunto) tragico destino che si abbatterebbe sui componenti del Team 6, corpo speciale della squadra dei Navy Seals americani che, il 2 maggio 2011, in un blitz passato alla storia, ha ucciso il leader di Al Qaeda Osama Bin Laden e che sarebbe dovuto, appunto, alla colpa di aver ucciso il più ricercato terrorista degli ultimi tempi, evidentemente capace di terrorizzare ben oltre la morte.
Il 6 agosto 2011, pochi giorni dopo il blitz, 22 membri del Team 6 muoiono in Afghanistan a seguito della caduta dell’elicottero sul quale viaggiano. Il 30 marzo 2013 Bratt Shadle, altro membro del Team 6 (che, incidentalmente, non è composto da 6 individui), muore mentre si addestra in un lancio con il paracadute proprio mentre un suo compagno, anch’egli del Team 6, rimane gravemente ferito nel corso delle stesse esercitazioni. Come se non bastasse, Matt Bissonette, altro soldato del corpo speciale, prima di pubblicare No easy day, libro nel quale ricostruisce le ultime ore di Osama Bin Laden, si dimette dai Navy Seals e potrebbe andare in carcere per il suo libro, mentre un suo compagno, noto con il soprannome di The Shooter (“Il cecchino”), è ora senza lavoro e con una famiglia da mantenere. Altri infine vedono la propria carriera minacciata per aver contribuito a fornire informazioni per il libro di Bissonette. Certo, la tentazione di etichettare il tutto come frutto di una maledizione è irresistibile. Ma consideriamo i fatti.
I membri dei Navy Seals sono addestrati per partecipare a missioni altamente rischiose e già altri sono morti nel corso delle numerose operazioni cui hanno partecipato negli ultimi anni. Basta fare un giro in internet (ad esempio qui) per rendersi conto che sono tra i soldati più esposti al fuoco nemico sul campo di battaglia. Nell’incidente del 6 agosto 2011, inoltre, non sono morti solo membri dei Navy Seals, ma anche altri americani. La stessa morte di Bratt Shadle e il ferimento del suo compagno sono imputabili alla pericolosità delle operazioni compiute da questi soldati, che certamente non conducono una vita da impiegati ministeriali. Le vicende di Bissonette e degli altri militari caduti in disgrazia non hanno nulla a che fare con le vicende dei commilitoni uccisi in Afghanistan e sono dovute alla violazione del vincolo del segreto cui sono legati gli appartenenti a questi corpi speciali. che non dovrebbero rivelare informazioni riservate acquisite nel corso delle loro missioni. Si deve poi aggiungere che la suggestione della “maledizione” deriva probabilmente dall’associazione tra la vita di questi soldati e Osama Bin Laden, il “demone” più temuto dagli americani negli ultimi 12 anni. È noto che intorno alla sua figura sono sorte molte leggende che ne sottolineano il carattere diabolico e poco umano: carattere, in realtà, creato ad arte per esigenze di propaganda bellica – succede in tutte le guerre – e che, in questo caso, si è ritorto contro gli stessi americani. Infine, è da notare che gli eventi “maledetti” coprono un periodo di quasi due anni, un periodo sufficientemente ampio perché possano accadere fatti nefasti a chi abitualmente svolge un mestiere pericoloso.
Insomma, per quanto sia davvero difficile resistere alla tentazione di invocare il sovrannaturale, gli eventi che compongono la cosiddetta “maledizione di Osama” sono spiegabili razionalmente. Basta un po’ di buon senso.