Chiunque abbia uno zio d’America sa che gli italiani residenti all’estero dagli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo possiedono un vocabolario ricco di contaminazioni, denso di prestiti, calchi, alterazioni, che spesso mescola parole dialettali, italiane e straniere in maniera idiolettica, quasi un pidgin creativo o una lingua multi-etnolettica, come dicono i linguisti, degna di studi seri e articolati. Ricordo ancora con divertimento un mio zio, ormai negli Stati Uniti da decenni, che si riferiva ai mobili chiamandoli “forniture” (da furniture, “mobili” appunto) e ai tubi chiamandoli “pippe” (da pipes, “tubi”).
Edmondo De Amicis, l’autore di Cuore, pubblicò nel 1899 Sull’Oceano, frutto di un viaggio in prima persona dell’autore da Genova a Buenos Aires, uno dei pochi romanzi italiani ad affrontare il tema dell’emigrazione. Descrivendo i personaggi incontrati a bordo della nave, De Amicis si imbatte in un emigrante italiano residente in Argentina da venti anni e ne ritrae il curioso vocabolario:
Ma bisognava sentire che vocabolario: era il primo saggio ch’io intendevo della strana lingua parlata dalla nostra gente del popolo dopo molti anni di soggiorno nell’Argentina, dove, col mescolarsi ai figli del paese, e a concittadini di varie parti d’Italia, quasi tutti perdono una parte del proprio dialetto e acquistano un po’ d’italiano, per confonder poi italiano e dialetto con la lingua locale, mettendo desinenze vernacole a radicali spagnuole, e viceversa, traducendo letteralmente frasi proprie dei due linguaggi, le quali nella traduzione mutan significato o non ne serban più alcuno, e saltando quattro volte, nel corso di un periodo, da una lingua all’altra, come deliranti. Trasecolando gli udii dire si precisa molta plata per “ci vuole molto danaro”, guastar capitali per “spender capitali”, son salito con un carigo di trigo per “son partito con un carico di grano”. E in quest’orribile gergo tirava via a dar addosso alla Camera dei Deputati, al governo atrasado (rimasto addietro), al popolo di mendìgos, e perfino ai monumenti d’arte, dicendo che, nel ripassare per Milano, aveva trovato il Duomo molto più piccolo di come l’aveva nella mente. Magnificava invece la bellezza delle pianure americane, facendo un gesto largo e goffo di paesista briaco (Garzanti Editore, p. 37).
Per quanto sia forte la tendenza ad accogliere questo vocabolario con sdegno (come De Amicis) o divertimento, è evidente che esso svolge una funzione adattiva in soggetti che spesso non hanno una solida scolarizzazione primaria e hanno acquisito la nuova lingua in ambito quotidiano piuttosto che formale. L’effetto è una vita linguistica ai margini, una produzione verbale labile, indefinita, spesso variabile da soggetto a soggetto all’interno della stessa comunità, ma interessantissima e rivelatrice di modi e pratiche di vita diversi dai nostri.
Insomma, più che “trasecolare” o ridere, c’è da studiare.