In epoche di analfabetismo diffuso, saper leggere era considerata una competenza quasi iniziatica, che metteva chi era in grado di farlo in una condizione magica, trascendente, quasi divina. I letterati erano considerati figure dotate di capacità superiori all’ordinario, ancor di più poi se erano capaci di leggere in una lingua diversa o antica.
Lo testimonia questo brano ricavato dalle Ricordanze della mia vita di Luigi Settembrini (1813-1876), pubblicata nel 1879. Settembrini, come è noto, era sia un uomo di lettere sia un patriota e fu più volte imprigionato per le sue idee. Durante un periodo di prigionia a Napoli, maturò la seguente esperienza:
Avevo chiesto qualche libro, e finalmente fu permesso di averne, e ne ebbi due, il Nuovo Testamento in greco antico con la metafrasi in greco moderno, e le poesie di Vincenzo Monti in un volume. Quel custode Luigi Liguoro che mi aveva portato lo strano saluto dell’Escalonne, entrato un giorno nella mia stanza, e sedutosi sul poggiuolo, prese in mano il Nuovo Testamento, e aperto mi domandò: “Che lingua è questa?” “È greca.” E voi sapete anche il greco?” “Un poco.” “Signore, io vi debbo cercare una carità. Levatemi da questo mestiere che non è per me, che sono nato un galantuomo. Ho quattro figlie zitelle, e sono carico di debiti. Aiutate una famiglia sventurata.” “Ma io non sono ricco, e non posso darvi danari.” “Non voglio danari.” “E che volete da me che son carcerato?” “Voi potete tutto.” “Io non v’intendo: dite.” “Io vi serberò il segreto, non dirò niente a nessuno.” “Ma che cosa volete?” “Tre numeri.” “Poh! e credete che io sappia i numeri del lotto?” “Quando leggete questa sorte di libri, voi li sapete tutti cinque i numeri.” “O via, Liguoro, cotesta è una pazzia.” “Non è pazzia: perché son carceriere non volete darmeli, ma sono uno sventurato galantuomo, e discendo da sant’Alfonso. Mi feci passare al carcere di San Francesco dove è arrestato padre Gaetano, lo sapete certamente, il monaco di San Pietro ad Aram, che sta in carcere perché da i numeri. Se vedeste che gente va a visitarlo, che donne e belle donne, e che bene di Dio gli mandano ogni giorno, ed egli sciala! Oh, ei li sa i numeri, perché come andrebbe tanta gente da lui? Ma a me non me li ha voluto dare, e l’ho pregato come si prega un santo. Voi anche li sapete, e non siete monaco voi, e potete sollevarmi”. Io sorrisi e cercai di levargli dal capo quella fantasia: ma fu niente: ogni volta che entrava nella mia stanza, mi guardava fiso un pezzo, poi chiudeva gli occhi e sospirava.
Questa testimonianza rivela il modo in cui, a Napoli, gli uomini del popolo vedevano chi sapeva leggere. I letterati erano considerati uomini dotati di una sapienza in grado di squarciare il velo del tempo e predire il futuro; individui dotati di poteri misteriosi, come misteriosa doveva sembrare agli umili la lettura nel suo complesso, specie di testi in greco antico. La lettura era, dunque, considerata una competenza in grado di tradursi in una mantica, ossia una tecnica divinatoria. E, nonostante i continui dinieghi di Settembrini, tale convinzione era talmente radicata che uomini come Luigi Liguoro erano certi che i loro letterati stessero semplicemente mentendo quando affermavano di non saper indovinare i numeri del lotto.
Oggi che il tasso di alfabetizzazione è quasi universale, almeno nei paesi occidentali, la capacità di leggere ha perso tutto il suo fascino, sostituita, forse, dalla capacità di usare l’informatica a un livello avanzato. Specie tra i digital illiterates è dato riscontrare livelli di stupore di fronte all’utilizzo di computer e Internet, paragonabili quasi alla malia sperimentata dai Luigi Liguoro di due secoli fa.