Alla fine di ottobre, il commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio Roberto Mancini è stato coinvolto in una aspra polemica per aver condiviso la vignetta sopra esposta dal suo profilo Instagram. La vignetta può essere interpretata come di cattivo gusto, ma allude a una situazione spesso sottaciuta: le patologie – ogni patologia – non sono solo una faccenda di batteri, virus e sistema immunitario. Le patologie – e in particolari quelle epidemiche – hanno tutte una forte componente psicologica (fatta di convinzioni, aspettative, credenze, timori) che contribuisce tantissimo ad alleviare o deteriorare i sintomi. Lo dimostra, fra l’altro, l’interessantissimo “Voodoo Death” di Walter B. Cannon (1942), che potete trovare qui in inglese.
Questo aspetto delle malattie è da sempre connesso, come dicevo, a pestilenze ed epidemie in genere. Lo dimostra la seguente storiella, denominata “leggenda del colera” che, nel 1910, pubblicava il «Corriere delle Puglie» e che riprendo dal libro di Paolo Preto Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna (Laterza, 1987):
un cavaliere in viaggio da Beirut a Damasco incontra il colera nella persona di un vecchio cencioso che in cambio di un passaggio gli promette di far morire solo 60 persone; nel primo giorno ne muoiono 15, nel secondo 25, nel terzo 60 e allora il cavaliere, indignato per la promessa violata, va alla moschea per ucciderlo ma il colera replica di aver davvero eliminato solo 60 persone: «le altre sono morte di paura» (p. V).
L’incidenza della paura sul morbo è nota da sempre. Una testimonianza efficace è fornita da un libro oggi dimenticato del medico Andrea Verga (1811-1895), intitolato Delle particolari forme di delirio cui danno origine le grandi pestilenze (Milano 1862) che documenta come il timore possa generare l’idea delle unzioni e forse la loro effettiva disseminazione. Cito sempre da Preto:
Manifestandosi in un paese una mortale epidemia, li ignoranti e i pusillanimi, che sono la maggior parte, si turbano e si confondono; l’idea d’un pericolo grave, d’una prossima fine, s’accampa nel loro cervello e vi si fissa, impedendo la regolare distribuzione del fluido nerveo al resto dell’organismo; quindi si rallenta il respiro, si sospende il sonno e l’appetito, si precipita il moto peristaltico delle intestina, si rilasciano li sfinteri, e rimane sconcertata l’armonio generale delle funzioni»; «mentre le facoltà superiori della mente cadono in una specie di paralisi, per cui si è impotenti al freddo e tranquillo esame delle cose, si esaltano la sensibilità e la fantasia, donde sensazioni e percezioni esagerate od anche interamente false e i più strampalati giudizi». Logica conseguenza di questa alterazione mentale è il sorgere nei secoli XVI e XVII, caratterizzati da «diverse forme di monomania religiosa, la demonopatia e la demonolatria» – di «due forme di delirio, che si potrebbero chiamare untopatia ed anche untofobia la prima, e untomania la seconda, intrecciate col delirio degli ossessi e degli stregoni»: in sostanza per il Verga «è probabile che alcuni di coloro che erano disposti a quella varietà di delirio ipocondriaco o melanconico che abbiam detto demonopatia, all’imperversar della peste abbiano assunto i caratteri dell’untopatia od untofobia, altra varietà di delirio ipocondriaco o melanconico; e che alcuni di quelli che erano disposti a trasformarsi colla loro malata imaginazione in maliardi o stregoni, siano invece diventati untori od avvelenatori» (pp. X-XI).
Oggi, il timore dell’epidemia sembra generare non tanto untofobia e untomania, sebbene queste siano presenti, quanto una fobia/mania del complotto a tutti i costi che si traduce, nella maggior parte dei casi, nella ricerca dell’eminenza grigia o dell’organizzazione nefaria smaniosi di distruggere l’umanità per non si sa bene quale scopo recondito.
La mania dei complotti alimenta le leggende del Covid-19 che, come quelle del colera, ammorbano le nostre menti e distorcono il nostro giudizio. A quanto pare, più di cento anni dalla storia raccontata dal «Corriere delle Puglie» non sono serviti a renderci più saggi o accorti. Forse perché, in tempi di incertezza, non c’è scienza che tenga, le barriere della razionalità saltano e ci ritroviamo a collezionare le stesse storie dei nostri avi su cui spesso solleviamo uno sguardo di sufficienza.
Fonte: Preto, P., 1987, Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari.