Evan J. Kemp (1937-1997) del Disability Rights Center è una delle figure storiche del movimento per i diritti delle persone con disabilità negli Stati Uniti. Di lui viene citata una affermazione spesso ricordata: «Finché un gruppo sarà ostracizzato o comunque degradato, qualsiasi nome venga adoperato per designarlo assumerà, prima o poi, una sfumatura di degradazione e dovrà essere sostituito. I nomi continueranno a cambiare a ogni generazione o giù di lì finché il gruppo non si integrerà nella società» (Raspberry, W., 1989, “When ‘Black’ becomes ‘African American’, Washington Post, 4 gennaio, p. 19).
Questo principio, che potremmo definire “legge di Kemp”, è particolarmente vero per i disabili. Nel corso del tempo, molti nomi, epiteti, etichette, concepiti da medici e psichiatri come denominazioni “neutre” e avalutative per le persone con disabilità, hanno finito con l’acquisire una connotazione negativa, sprezzante, inferiorizzante, tanto da rendere necessaria la loro sostituzione con altri termini, destinati, come i primi, a divenire degradanti. Si pensi a termini come “idiota”, “idiota mongolo”, “mongoloide”, “down”, “minorato psichico”, “imbecille”, “ritardato”, “subumano”, “anormale”, “handicappato”, tutti termini generati in ambito scientifico e diventati progressivamente offensivi e umilianti. Lo stesso è avvenuto con i termini che designano l’attrazione per persone dello stesso sesso. Ancora oggi, è possibile, in alcuni contesti, sentire parole come “gay” o “omosessuale” usate con una connotazione negativa e offensiva. E che dire di termini come “negro”, “di colore” e “mezzosangue”?
Se tutto ciò è vero, ossia se i nomi che designano i gruppi ostracizzati assumono, prima o poi, una sfumatura di degradazione, tanto da rendere necessario cambiarli, si può presumere che, come prevede la “legge di Kemp”, se il nome di un gruppo ostracizzato non cambia più, ciò vuol dire che il gruppo in questione è pienamente integrato? Pensiamo alle persone con disabilità. Se è vero che negli ultimi tempi sono stati fatti molti passi avanti per la loro piena integrazione (almeno in termini di diritti civili, meno in termini di diritti sociali), è anche vero che si continuano a usare nomignoli come “mongoloide” a scopo offensivo, mentre il termine “persona con disabilità”, probabilmente il più recente tra i tanti disponibili, sembra reggere l’urto della degradazione e conserva ancora una sua dignità e neutralità connotativa. Vedremo se tale neutralità persisterà e se, dunque, la categoria delle persone con disabilità potrà (può?) ritenersi un gruppo non più ostracizzato.