È stato il giornalista Martin Cothran di Memoria Press nel 2019 a presentare la fallacia denominata “Uno studio ha scoperto…” (A study has found…), probabilmente uno degli strumenti retorici e persuasivi più efficaci degli ultimi cento anni.
È sufficiente che una qualsiasi argomentazione sia introdotta dalla magica frase “Uno studio ha scoperto…” che, improvvisamente, essa sarà dotata di una solennità quasi religiosa e di uno status oracolare, non molto dissimilmente da quanto accadeva nel Medioevo quando la frase “Lo dice la Bibbia” era in grado di conferire credibilità a qualsiasi affermazione.
Se, da un lato, ciò testimonia la forza che la scienza ha acquisito negli ultimi secoli rispetto a forme errate di sapere, è altrettanto vero che citare un singolo studio per dimostrare la verità di un enunciato è certamente discutibile. E questo, secondo Cothran, per almeno due motivi.
Il primo ha a che vedere con la natura intrinsecamente provvisoria della scienza e del ragionamento scientifico. Le conclusioni di una ricerca possono essere rapidamente superate dagli esiti di una ricerca successiva per cui non bisognerebbe mai attribuire un valore definitivo a quanto riferito da un singolo studio.
In secondo luogo, come fa notare lo scrittore Richard Harris a proposito della ricerca in biomedicina,
nella letteratura scientifica vengono pubblicati circa un milione di studi biomedici. E molti di questi sono semplicemente errati. Escludiamo l’afflato divino, le statistiche pretenziose e il processo di revisione tra pari, che pure dovrebbe consentire di scartare gli studi più traballanti e inadeguati. Molte di essi semplicemente non reggono a un esame accurato…. A volte lo scienziato fa sì inconsciamente che i dati raccontino una storia che in realtà non è vera. Di tanto in tanto, si verificano vere e proprie frodi. Ma gran parte di ciò che viene pubblicato è sbagliato.
A ciò si aggiunge quella che potremmo definire la “crisi della replicabilità”: il fatto, cioè, che in molti casi – MOLTI CASI – non si riescono a riprodurre gli stessi risultati. Un problema enorme per la credibilità della scienza perché la replicabilità rappresenta una delle colonne su cui si fonda la possibilità stessa del sapere scientifico. Cothran cita il caso di 53 studi che “avevano scoperto” nuove promettenti sostanze in grado di cambiare la storia della medicina. Di questi fu possibile replicarne solo sei.
Dobbiamo poi considerare che, pur volendo replicare uno studio, i ricercatori hanno spesso difficoltà a recuperare i dati grezzi della ricerca originale, oppure trovano scarsa collaborazione o addirittura resistenza da parte degli autori dello studio in questione.
Molti studi, poi, sono caratterizzati da sciatteria, tendenza a cercare scorciatoie, ignoranza delle procedure corrette, incentivi compromettenti, imbrogli e pura apatia. Oppure, hanno natura puramente esplorativa, presentano campioni poco numerosi e poco rappresentativi, non comprendono gruppi di controllo, si basano su ipotesi mal formulate
Il paradosso è che, anche se non è possibile replicare gli esiti di una ricerca, accade spesso che essa continui a essere citata quasi contenesse una verità assoluta, contribuendo così alla diffusione di informazioni false.
Nel campo delle scienze umane, questi problemi possono essere anche più gravi. Cothran cita una metaricerca del 2014 che ha rilevato che su 164.589 studi pubblicati in campo educativo, appena 221 erano repliche, e di queste solo il 67,4% avevano avuto successo. Tra queste, il 48,2% (quasi la metà) erano state condotte dagli stessi ricercatori dello studio originario.
Tutto questo di solito non viene detto nemmeno dai divulgatori scientifici i quali sono i primi, spesso, ad accentuare gli elementi più “notiziabili” di uno studio (“Scoperto un nuovo medicinale contro il cancro…”) a scapito di quelli più fragili (“I risultati sono in attesa di conferma”, “La ricerca è stata condotta su un campione di 10 persone”).
Insomma, quando leggiamo che “uno studio ha scoperto…” non dovremmo abbassare la guardia e fidarci ciecamente di ciò che ci viene detto. Gli studi sono fallibili, non oracoli divini. Del resto, da tempo abbiamo messo in discussione anche questi. Non rimpiazziamoli con nuovi oracoli.