In un recente articolo di Repubblica, dedicato alla traduzione inglese del suo ultimo libro Zero Zero Zero, Roberto Saviano afferma:
Il capitalismo ha bisogno delle organizzazioni criminali e del loro mercato… Questo è il concetto più difficile da comunicare. La gente – anche quelle persone che hanno il compito di osservare il mondo criminale – tende a trascurare questo aspetto, insistendo su una separazione tra il mercato nero e il mercato legale. E’ la mentalità, molto europea e americana, che spinge a pensare che un mafioso finisce in galera in quanto gangster. Ma in realtà è un uomo d’affari e il suo business, il mercato nero, è diventato il più grande mercato del mondo.
Queste parole, come ricorda lo stesso Saviano, possono sembrare paradossali, se non scandalose. Come? Il capitalismo ha bisogno delle organizzazioni criminali? Non è blasfemo tutto questo? In realtà, quando esaminiamo i fatti del crimine, dovremmo liberarci da quella che i criminologi americani chiamano pestilence fallacy, la fallacia consistente nel ritenere che il male nasce solo dal male (e, per converso, che il bene nasce solo dal bene). Come vari studiosi nel tempo hanno osservato, il bene può a volta derivare addirittura dal male. Lo ricordava, su tutti, Marx quando diceva che “il criminale non produce soltanto delitti, ma anche il delitto penale e con ciò anche il professore che tiene lezioni di diritto penale e inoltre l’immancabile compendio nel quale quello stesso professrore getta i suoi discorsi come “merce” sul mercato generale”.
A questi aspetti paradossali del crimine ho dedicato un libro dal titolo Verso una criminologia enantiodromica che offre un punto di vista inusuale e stimolante sul crimine. Leggetelo e capirete perché la prostituzione, l’usura, il gioco d’azzardo e, appunto, il crimine organizzato, fra gli altri, “fanno bene” alla società.