Moncrabeau, una cittadina francese di poco più di 800 abitanti, è nota per essersi autonominata la “capitale dei bugiardi”. Dal 1973, ogni anno, organizza un festival nel corso del quale viene eletto il “re dei bugiardi”: gli aspiranti al titolo, seduti su uno scanno di pietra, danno vita a un torneo di frottole in cui ognuno è tenuto a raccontarla grossa, baciando una “pietra della verità” e giurando solennemente di distorcere sempre la verità. Alla fine, un’Accademia dei bugiardi sancisce il vincitore. Dopo ogni storia, i giudici gettano del sale grosso in un sacco, servendosi di una pala: più il sacco è pieno, meglio è per il candidato. Infatti, a vincere è chi ha il sacco più pesante.
Il festival è ormai un’attrazione turistica, anche se sembra che gli abitanti del villaggio siano soddisfatti di questa identità che si sono creati. Il torneo, benedetto perfino dal parroco locale, attira talmente tante persone che il villaggio ha deciso di imporre un pagamento per entrarvi, mentre la preparazione dei partecipanti può durare mesi e mesi.
Ma come è successo che Moncrabeau sia diventata la “capitale dei bugiardi”? Il nome, ci segnala Claudia Meyer nel libro Benedetta menzogna, è in realtà frutto di un equivoco linguistico.
In passato la principale fonte di guadagno della zona era la produzione di mente piperita; in francese menta si dice menthe. I contadini si definivano orgogliosamente mentheurs, la cui traduzione fantasiosa, ricalcata sul termine francese, potrebbe essere “mentòri”. Ora, mentheurs suona in francese come menteur, “mentitore”. Quando con la menta piperita non si poté più guadagnare soldi, si tentò di attrarre i turisti escogitando per il villaggio il nomignolo in questione.
E così, un gioco linguistico, abbinato a una strategia di marketing e un po’ di sana inventiva, la creato la “capitale dei bugiardi”. La storia di Moncrabeau potrebbe ispirare comportamenti simili. O almeno una lezione in questi tempi di crisi: distorcete il linguaggio, potrebbe derivarne un posto di lavoro!