Mai gli animali sono stati mitizzati come nella nostra epoca. Qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a questa affermazione. Nell’antico Egitto, il toro nero sacro Apis era il simbolo della procreazione e della fertilità. Il gatto Bastet era venerato come una dea benigna. Lo sciacallo Anubis, dio dei cimiteri, era pure oggetto di venerazione. Nell’antica Grecia, Cerbero, il cane a tre teste, sorvegliava le vie di accesso all’oltretomba. Nell’antica Roma, Romolo e Remo furono allattati da una lupa, simbolo di uno dei più gloriosi imperi della storia. Nel passato, gli animali sono apparsi come dei, entità soprannaturali, simboli religiosi. Ad essi sono stati conferiti significati di ogni genere. Alcuni di essi permangono ancora oggi. Basti pensare alle superstizioni legate al gatto nero che attraversa la strada o alla zampa di coniglio portafortuna.
Come è possibile, dunque, che la nostra epoca secolarizzata consenta di mitizzarli? In realtà, la mitizzazione a cui sono soggetti oggi gli animali è qualcosa di diverso da quella che ci tramandano le epoche passate e coincide di fatto con una forma di antropomorfizzazione spinta: in altre parole, la mitizzazione animale consiste oggi nell’elevazione dell’animale al rango di essere umano con tutto ciò che ne consegue in termini di attribuzioni e significati (cibo, abiti, abitazioni, intelligenza, diritti, “stili di vita” ecc.). Questa forma di mitizzazione è talmente diffusa da essere diventata senso comune. Non ce ne accorgiamo neppure. È, a tutti gli effetti, una delle forme di superstizione più radicata degli ultimi decenni.
Attenzione. Non sto parlando del riconoscimento dei diritti degli animali in quanto animali, della nuova sensibilità nei loro confronti, del rispetto nei confronti delle loro esistenze. Sto parlando di quel meccanismo psico-sociale che proietta sugli animali caratteristiche, proprietà, elementi che sono propri degli umani e che vengono assegnati di imperio all’animale.
Mi riferisco ai pet shop in cui si mostrano al cane due vestitini chiedendogli di scegliere quello che preferisce, alla festa di matrimonio per cani con invitati a quattro zampe vestiti a tema, alle suite per gatti con chef specializzato e personal trainer e a tante altre superstizioni simili dei nostri tempi.
Contro questo atteggiamento mitizzante, scriveva parole importanti ed estremamente attuali lo psicologo americano, di origine polacca, Joseph Jastrow (1863 –1944), in un articolo, a cui ho già accennato in un post precedente, e che qui traduco per la prima volta in italiano.
Si tratta di una lettura seminale che raccomando vivamente se vogliamo penetrare nei quirks e foibles, come dicono gli inglesi, dei nostri tempi.
Leggete l’articolo di Jastrow con attenzione!
Testo originale: Jastrow, J. (1906). “Fact and fable in animal psychology”, Popular Science Monthly, vol. 69, pp. 138–146.