Uno dei temi più affascinanti della storia dell’arte e della religione è costituito dalle cosiddette immagini acheropite, vale a dire “non fatte da mano umana”, miracolose, divine. Si tratta di raffigurazioni di personaggi sacri che si suppone abbiano un’origine trascendente, non umana, e che perciò sono spesso (state) venerate come oggetti soprannaturali. Alcuni esempi sono molto noti: il Mandylion o “immagine di Edessa”, un telo sul quale si diceva comparisse il volto di Gesù; il cosiddetto “velo della Veronica”, anche questo un telo sul quale, secondo la leggenda, erano impresse le fattezze del viso di Gesù; più recentemente, l’immagine della Madonna di Guadalupe, custodita in Messico; e naturalmente la celeberrima Sindone di Torino.
Le immagini “miracolose”, non prodotte da uomo, non sono appannaggio del cristianesimo. Nell’antichità pagana, era nota l’esistenza di alcune immagini divine chiamate diipetes, che si supponeva cadute dal cielo, come meteore. Una delle più famose è associata al mito di Pallade Atena da cui deriva appunto Palladion, il termine usato per identificare questo genere di raffigurazioni. Il Palladio più importante era quello di Troia, ma esistono leggende riferite ad altre immagini come per esempio un Palladio portato da Enea a Roma e l’ancile di Numa, una scudo caduto dal cielo in risposta alle preghiere del re.
Come si spiegano queste forme artistiche? Siamo in presenza di miracoli divini o la spiegazione potrebbe essere altra? Premesso che il tema è estremamente complesso e meriterebbe un approfondimento che non posso permettermi in questo post, vorrei far notare due cose.
La prima: sia le immagini acheropite sia quelle che gli antichi chiamavano diipetes sono raffigurazioni di cui non si conosce l’autore. È probabile, dunque, che sia l’ignoranza della fonte ad aver alimentato le leggende che le attribuiscono a mano divina. Uomini e donne hanno una irresistibile tendenza cognitiva a spiegare tutto quanto li circonda e quando una spiegazione umana non è disponibile preferiscono invocare interventi soprannaturali piuttosto che arrendersi al nulla. Del resto, è lo stesso meccanismo che ritroviamo nelle imputazioni miracolistiche: se non disponiamo di una spiegazione scientifica immediata che ci aiuti a comprendere una guarigione del corpo, gridiamo al miracolo. Se una situazione difficile si trascina per anni e viene improvvisamente risolta per ragioni estemporanee, ringraziamo un santo o la Madonna.
Un’altra spiegazione ci è fornita da poche righe del libro Immagini di Cristo di Ernst von Dobschütz, dedicato appunto a diipetes e immagini acheropite: «Diipetes divenne […] un attributo onorifico che veniva concesso a un’immagine sacra particolarmente venerata, contraddistinta da un’età eccezionale oppure da una bellezza fuori dal comune. Nell’immagine in se stessa non c’era invece bisogno che ci fosse un segno particolare» (von Dobschütz, E., 2006, Immagini di Cristo, Edizioni Medusa, Milano, p. 37). In altre parole, immagini molto vecchie e straordinariamente belle venivano ritenute celesti per questo solo motivo. In questi casi, per esprimerci con i termini della retorica, è probabile che avvenisse uno slittamento dalla similitudine alla metafora. Ricordiamo che la similitudine mette a confronto due concetti; la metafora si differenzia dalla similitudine per l’assenza di avverbi di paragone. È probabile allora che giudizi quali: “È come se quest’immagine fosse stata realizzata da un dio” si siano progressivamente metaforizzati in “Quest’immagine è stata realizzata da un dio/è divina” con il risultato che la metafora è poi divenuta concreta, alimentando la leggenda sulla soprannaturalità della stessa.
Le mie sono solo ipotesi, naturalmente, ma è probabile che abbiano un fondo di verità. È verosimile, infatti, che meccanismi del genere, del tutto umani, abbiano almeno contribuito al formarsi di acheropiti e diipetes. Così come contribuiscono ad alimentare tante illusioni e superstizioni tuttora vivissime e diffuse.