In sociologia si parla di “effetto Werther” (il termine fu coniato dal sociologo David Phillips nel 1974), in riferimento ai comportamenti suicidari (o autoaggressivi) messi in atto su imitazione di condotte apprese da libri, televisione, cinema e mass media in genere. Il nome trae origine dagli effetti prodotti dalla pubblicazione nel 1774 del romanzo di Goethe I Dolori del Giovane Werther che, secondo quanto è dato leggere in molte fonti, avrebbe causato la morte, per suicidio, di uno stuolo di giovani colpiti dalle vicende amorose del protagonista dell’opera. Come è noto, I Dolori del Giovane Werther narra le avventure di Werther, innamorato perdutamente di Lotte, che però è già promessa ad Albert. Alla fine della storia, Werther, non riuscendo a sopportare di essere lontano da Lotte, si suicida con la pistola di Albert. L’opera divenne rapidamente un bestseller. Fu tradotta immediatamente in italiano, francese, inglese e russo e ristampata molteplici volte. Di essa si ebbero più di 20 copie pirata. I giovani leggevano il romanzo, vestivano come il protagonista e organizzavano serate a tema sul Werther. Si sviluppò anche una sorta di industria intorno all’opera che, se non produsse t-shirt e cappellini come succede oggi, generò, però, disegni, incisioni e altri oggetti commerciali. Un vero e proprio caso letterario, al cui clamore contribuì anche la fama macabra di testo maledetto che accompagnò il romanzo per anni.
L’idea che la pubblicazione del romanzo epistolare di Goethe abbia lasciato dietro di sé una scia di giovani morti per suicidio è ormai senso comune. Ma è fondata? È vero che I Dolori del Giovane Werther hanno provocato una epidemia di suicidi tra innamorati delusi?
Alcune fonti del passato ci dicono che questa eventualità era temuta da personalità come il filosofo Gotthold Lessing, la letterata Madame de Staël e lo stesso Goethe. A Lipsia, nel 1775, la locale facoltà di teologia chiese alle autorità di bandire il Werther temendo che la sua diffusione potesse favorire il suicidio di tanti giovani afflitti da pene d’amore. L’amministrazione della città rispose positivamente alla richiesta e bandì sia il romanzo sia i costumi à la Werther. Il bando durò dal 1775 al 1825. Stesso destino ebbe il romanzo in Italia e Danimarca. A Milano sembra che un parroco acquistò tutte le copie del libro vendute nella sua zona nel timore che i giovani della sua congregazione si potessero fare delle idee sbagliate.
Ma si trattò di una epidemia? Jan Thorson e Per-Arne Öberg, autori dell’articolo “Was There a Suicide Epidemic After Goethe’s Werther?”, smentiscono, dati alla mano, che si sia trattato di un fatto così grave. Spulciando tra varie fonti dell’epoca, i due studiosi hanno scoperto che, nonostante vi siano stati alcuni casi di suicidio direttamente collegabili al Werther di Goethe (uno dei più celebri è quello di una certa Miss Glover, trovata morta nel 1784 con una copia del Werther sotto il cuscino), non si può affatto parlare di una “epidemia di suicidi”. Il sociologo Frank Furedi, in un suo intervento sul tema, è ancora più risoluto: «Ciò che suggerisce la nostra esplorazione del grande fermento originato dal romanzo del Werther è che esso acquisì una vita propria che ne provocò la mutazione in un idioma retorico dato per scontato, che fu utilizzato come chiave di lettura dei problemi morali della società dell’epoca. Gli allarmi sull’epidemia di suicidi lasciano trasparire più le ansie di chi li lanciava che il comportamento dei lettori dei romanzi. Una analisi della letteratura su cui si diffondevano questi allarmi indica una assenza totale di prove empiriche. Le allusioni costanti a Miss. G. [la Miss Glover di cui sopra], a vittime anonime e a scene di morte concepite sulla falsariga dell’eroe di Goethe ci fanno capire che tanti timori si basavano su scarsi contenuti fattuali. Le voci sulla epidemia di suicidi furono immaginarie come la morte di Werther nel romanzo».
È probabile, dunque, che l’effetto Werther, per quanto riconosciuto e provato, debba la sua fortuna a una sorta di leggenda metropolitana, almeno nelle dimensioni. Resta il fatto che è difficile accertare il numero esatto di suicidi, direttamente imputabili al romanzo, verificatisi in Europa alla fine del Settecento. In mancanza di statistiche affidabili, il tutto è lasciato a congetture. È probabile, però, che parlare di epidemia sia una esagerazione, determinata dalla novità del romanzo di Goethe e della morte autoinflitta di giovani trovati in possesso di una copia del testo. Un po’ come succede oggi quando l’introduzione di una nuova tecnologia ha conseguenze indesiderabili che sono prontamente esagerate a scapito dei vantaggi. Del resto, avverte Furedi, fu proprio all’epoca di Goethe che il fascino della lettura di romanzi si diffuse in maniera contagiosa, suscitando, come tutte le cose nuove, sospetti e malumori negli opinionisti del tempo.
È da ricordare, infine, che per prevenire l’effetto Werther molti paesi hanno oggi adottato precise linee guida che proibiscono la pubblicazione di dettagli che potrebbero indurre processi imitativi nelle persone più suggestionabili. Una forma di censura a scopo preventivo che ricorda molto da vicino le azioni di teologi e parroci nei confronti del romanzo di Goethe alla fine del Settecento.
Fonti:
Frank Furedi, “The Media’s First Moral Panic”, History Today, 15 ottobre 2015.
David P. Phillips (1974) “The influence of suggestion on suicide: Substantive and theoretical implications of the Werther effect”, American Sociological Review, vol. 39, pp. 340-354.
Jan Thorson & Per-Arne Öberg (2003) “Was There a Suicide Epidemic After Goethe’s Werther?”, Archives of Suicide Research, vol. 7, n. 1, pp. 69-72.