La Nuova Cronica del mercante, storico e cronista medievale Giovanni Villani (1280 – 1348), scritta a partire dal 1322, ma lasciata incompiuta a causa della morte dell’autore, per peste, nel 1348, è il racconto, in dodici libri, della storia di Firenze dall’antichità agli anni quaranta del Trecento. Ancora oggi, è considerata un capolavoro della storiografia medievale, molto citata dagli addetti ai lavori.
Nella versione dell’opera pubblicata da Sansone Editore (Firenze, Tomo I) nel 1844 si legge a pag. 320: «[…] ma covidoso d’acquistare terra e signoria e moneta d’onde si venisse, per fornire le sue imprese e guerre […]». Una nota a piè di pagina specifica che “covidoso” (o “cuvidoso”) è voce di origine francese (viene da convoiteux) e significa: avido, ingordo, cupido, bramoso. Il termine compare nell’opera altre tre volte.
Su un lettore contemporaneo, il ritrovamento del termine in un’opera trecentesca non può che produrre un effetto straniante. Ognuno di noi oggi assocerebbe “covidoso” a Covid, tanto è vero che, come spiega la Treccani, è uno dei termini con cui si è pensato di descrivere chi è malato di Covid-19. In effetti, tra le curiosità linguistiche provocate dal virus, dobbiamo segnalare l’inesistenza di una parola condivisa da tutti a questo scopo. Leggiamo le riflessioni della Treccani:
Covidico o covidotico?
La pandemia che ha colpito il Paese ha creato un problema al nostro lessico: come si chiama colui che è affetto dal covid? Ci sembra che non esista un termine che faccia alla bisogna. Si potrebbe chiamare “covidoso” ma il vocabolo, esistente, ha tutt’altro significato (bramoso e simili). Alcuni organi di stampa hanno coniato “covidico”, composto con “covid” e il suffisso “-ico”. Tale suffisso, però, non ci sembra appropriato perché è atto a indicare “appartenenza”, “modo” (atmosferico, balcanico, filosofico, biologico ecc.). A nostro modo di vedere si potrebbe chiamare “covidotico” per analogia con “tubercolotico”, “cirrotico”, “scoliotico” e simili. Anche se, per la verità, il suffisso “-otico” indica, perlopiù, aggettivi derivati da sostantivi in “-osi”: psicotico, nevrotico, ecc.
A rigor di logica strutturale e storica, quanto scrive il nostro colto lettore è impeccabile, perplessità incluse. Covidico, in effetti, si trova qua e là nei media come neocreato aggettivo di relazione nell’accezione di ‘relativo alla Covid-19’. Compare anche sostantivato nel titolo di un articolo dello scrittore e performer Stefano Massini che suscitò attenzione qualche tempo fa: Covidico. La nuova era dell’umanità (“La repubblica”, 20 aprile 2020); anche se, a dire il vero, si trattò della coniazione di un abile e anonimo titolista, perché in tutto l’articolo Massini scrive di ciò che viene prima dell’era intestata alla Covid-19, definendolo (sia come aggettivo, sia come sostantivato) precovidico.
Covidotico sembre semplicemente un po’ scomodo da pensare. Mentre covidico potrebbe avere dalla sua l’assonanza con rachitico, in cui la terminazione, in realtà, fa corpo con la parola, che è un cultismo, in particolare un grecismo settecentesco, da rhachítēs, aggettivo di relazione di rháchis ‘spina dorsale’. Potremmo pensare anche a bulimico, anoressico: in questo caso la serie in –ico, con motivazioni etimologiche certamente non coerenti rispetto a quella che bisognerebbe supporre per covidico (< *covidìa), esprime però una possibilità più semplice di accoglienza dell’eventuale neologismo covidico, per semplice analogia: analogia, la grande macchina livellatrice che agisce spesso come una forza creatrice all’interno del sistema lingua, impipandosene delle costruzioni logiche dei grammatici.
Meglio “covidico”, dunque, di “covidotico”. Sicuramente è preferibile a “covidoso” il cui significato acquisito storicamente non è il caso di scalzare.
Mi immagino, però, qualche complottista decerebrato a cui dovesse capitare di imbattersi nella Cronica del Villani (poco probabile, a dire la verità): “Vedete? Il Covid esisteva già nel Trecento. E non cie lo dikono!”. Del resto, è così che funziona la macchina semiotica complottista. Basta rilevare una analogia, una somiglianza, una affinità, anche solo letterale, qualsiasi sia la fonte; inserirla in un sistema di pensiero precostituito, infischiandosene di anacronismi e senso critico; renderla compatibile con una tesi, per quanto estrema e priva di solide basi, e il gioco è fatto. La teoria complottista si rafforza e non c’è niente che possa contraddirla perché chi contraddice è sempre “asservito ai poteri forti” e non vede ciò che “solo chi è libero” è in grado di vedere.
Il buon Villani non immaginava certamente che il suo “covidoso” potesse essere adoperato in un significato diverso da quello che aveva ai suoi tempi. Se succederà, non potrà farci nulla. Se della sua opera si impossesserà, però un complottista, con l’intenzione di stravolgerne fatti e interpretazioni, toccherebbe a noi contemporanei reagire, segnalando cantonate e impossibili forzature. O almeno evitando di condividere sui social.