Il turpiloquio come terapia

Il magico potere di sbattersene il ca**o. Il metodo giusto per sbattersene del mondo. La sottile arte di fare quello che c***o ti pare. Come aprire l’ombrello quando fuori piove mer*a. Come liberarti dagli stronzi e trovare soddisfazione nel lavoro. Il fascino discreto degli stronzi. Come diventare bella, ricca e stronza. Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita. Come scoprire il potere liberatorio del vaffanculo e sorridere alla vita. Mammina un ca**o.

Sono alcuni titoli di un genere letterario che da qualche anno impazza sul mercato editoriale e che tende a riprodursi, con minime varianti, in maniera dilagante. Potremmo definirli testi di self-help, se non fosse che la parola più appropriata sarebbe probabilmente self-self, vista l’enfasi iperbolica sull’io e le sue dilatazioni. Al di là delle differenze, due sono gli elementi comuni a tutti i testi che rientrano in questo genere. Innanzitutto, una forte propensione al turpiloquio, avvertito come importante strumento di liberazione del sé. In secondo luogo, un invito costante a non preoccuparsi (anzi, a fregarsene) di quello che pensano gli altri; a percepire il mondo popolato da categorie varie di “stronzi” (termine virale in questa letteratura) e parassiti, sempre pronti ad abusare di noi, del nostro, tempo, pazienza, energia, finanze; a imparare a dire no (nell’assunto davvero improbabile che, nella vita reale, tendiamo a dire sempre sì), a “sbattersene” (altro termine iconico) della sensibilità altrui (perché noi siamo naturalmente i soli individui sensibili sul pianeta, mentre gli altri sono perennemente insensibili nei nostri confronti).

La tesi di fondo di questi libri è che siamo assillati da persone irritanti, da falsi problemi, da rotture di ogni giorno che non ci consentono di vivere felici, di controllare la nostra vita, di tenere lontani preoccupazioni e scocciatori. Perché gli altri sono sempre scocciatori. Sono sempre ostili ed esigenti. Questa letteratura pone al centro i nostri desideri: il resto non importa o importa poco. E così siamo esortati a mandare caldamente a fare in culo tutti quelli che non ci piacciono, che ci fanno perdere tempo, che ci fanno sentire stressati, tesi, incavolati. In questo quadro, il turpiloquio è concepito come una forma di liberazione per non fasciarci inutilmente la testa, per non ingigantire i problemi, per non prendersela troppo per quelle che sono sempre e comunque stronzate. Chissenefrega è il motto di questa filosofia. “Gli altri non contano niente” è il suo epifonema.

Date queste premesse, è facile capire perché questo tipo di testi abbia successo. Si tratta di una letteratura autoassolutoria, celebrativa dell’ego, vittimistica (nell’epoca del vittimismo a tutti i costi, siamo sempre vittime dei tentativi altrui di persuaderci) e indulgente nei confronti dei nostri vizi e difetti, finalizzata a sollevarci da responsabilità, compiti, doveri perché sono gli altri – sempre gli altri – i cattivi e approfittatori e manipolatori. Questi libri accarezzano i nostri vizi, coccolano il nostro narcisismo, vellicano il nostro ego, incoraggiano i nostri conati, valorizzano ogni nostro peto al di là del gradiente olfattivo, mettono al centro i nostri bisogni e desideri in maniera incondizionata, riducono quelli degli altri a mera insignificanza.

Questi genere ci insegna che in noi, fondamentalmente, non c’è nulla che non va, e che tutti i nostri problemi dipendono dai tanti manipoli di approfittatori (pardon! stronzi) che si nascondono tra amici, coniugi, conoscenti, colleghi di lavoro o semplici sconosciuti. Secondo questi testi manichei, il mondo si divide in due categorie essenziali: noi – gli angeli, i buoni, gli irenici – e gli altri – gli stronzi senza attenuanti – e il nostro compito è quello di non lasciarci sopraffare dagli stronzi, chiunque essi siano.

È una letteratura estremamente individualista e in cui noi individualisti supremi amiamo identificarci. Perché è facile mandare tutti a fare in culo e gridare un liberatorio chissenefrega nel nome della “crescita personale”. Solo che così è troppo facile e illusorio. Perché, a ben vedere, la stronzaggine è in tutti noi. Sì, anche in noi che ci riteniamo angeli perseguitati dai demoni. E che siamo, in realtà, solo dei grossi paraculi. A cui fa bene fare la parte delle vittime.

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