Nei giorni scorsi, si è parlato molto di due episodi apparentemente slegati, ma, a mio avviso, molto più “vicini” di quanto si pensi.
Il primo. «Il Fatto Quotidiano», in un articolo di Vincenzo Iurillo del 4 gennaio scorso, rivela una intercettazione telefonica che vede protagonista il ministro delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo. L’intercettazione non rientra in un’attività di polizia giudiziaria, ma è registrata da Felice Pisapia, ex direttore amministrativo dell’ASL di Benevento. Ecco quanto scrive il giornale:
Riavvolgiamo il nastro alle ore 19 e 15 del 30 luglio 2012. La De Girolamo riceve Michele Rossi, manager dell’Asl di Benevento, Gelsomino Ventucci detto “Mino”, direttore sanitario, Pisapia, l’avvocato Giacomo Papa, molto vicino ai De Girolamo, Luigi Barone, storico portavoce di Nunzia, all’epoca vice direttore de Il Sannio Quotidiano e oggi a Roma con l’incarico di direttore del portale web del ministero delle Politiche Agricole. […]. La conversazione si protrae per quasi due ore. Verso la fine cade sul Fatebenefratelli di Benevento, un ospedale religioso convenzionato. La De Girolamo è arrabbiata con loro. Li chiama “stronzi”. Due volte. Poi si rivolge a Rossi: “Michè, scusami, al Fatebenefratelli facciamo capire che un minimo di comando ce l’abbiamo. Altrimenti mi creano coppetielli con questa storia. Mandagli i controlli e vaffanculo!… Io non mi permetto di farlo, però ad essere presa per culo da Carrozza, quando poi gli ho dato tanta disponibilità ogni volta che mi hanno chiesto, Miché”. Giovanni Carrozza, citato nel colloquio, è il direttore amministrativo del Fatebenefratelli.
Il secondo. L’attore Toni Servillo, fresco reduce dalla vittoria del Golden Globe per il film La grande bellezza in cui recita la parte del protagonista, viene intervistato da una giornalista di Rai News 24. A dispetto del clima celebrativo, la giornalista fa riferimento ad alcune critiche che avrebbero riguardato il film e Servillo, indispettito, approfittando di (o fingendo) un’interruzione della linea telefonica, rivolge un “vaffanculo” condito da un “cretina”.
Che cosa hanno in comune i due episodi? Quella che nel mio libro Turpia ho definito “funzione epifanica del turpiloquio”. Che cosa significa? Il turpiloquio ci permette di accedere a conoscenze che altri vogliono mantenere segrete o presentarci in modo distorto. È una straordinaria arma di demistificazione in quanto espone gli individui nella loro nudità psicologica e ci rivela situazioni imbarazzanti. È così che il nostro attore preferito si rivela un ignobile ricattatore, l’impeccabile cardinale si rivela un pedofilo, il nostro migliore amico diventa un traditore: attraverso un’oscenità carpita di nascosto. In questo senso, il turpiloquio svela la vera identità morale del mondo, solleva il muro che separa le condotte quotidiane di una persona dall’immagine pubblica che essa propone di sé, la discrepanza tra la maschera collettiva e la sincerità interiore. Agli occhi di un terzo, il turpiloquio può trasformare un individuo serio, morigerato e controllato in un essere immorale, inaffidabile e con scarso controllo delle emozioni. Offre uno sguardo indiscreto che sorprende la persona mentre sveste i panni usuali e si lascia andare.
L’immaginario collettivo percepisce chi occupa posizioni sociali di rilievo in termini quintessenziali prevedendo criteri valutativi molto severi e indignandosi enormemente nel caso questi criteri siano disattesi. Politici, arcivescovi, uomini di spettacolo sorprendono in negativo se sono colti nell’atto di bestemmiare perché sono ritenuti paradigmi cui ispirarsi e le “brutte parole” li abbassano a livelli inferiori rispetto a quelli loro assegnati. Ecco perché la gente si dichiara indignata dalle parole della Di Girolamo e dall’invettiva di Servillo. Al di là delle implicazioni politiche o giudiziarie delle frasi del ministro, al di là dell’opportunità o meno di proferire parolacce durante l’intervista dell’aoore con la giornalista, i due “vaffanculo” rivelano i protagonisti in una dimensione nuova, scioccante, inattesa che non ci consentirà più di vedere questi due personaggi allo stesso modo. Anche se sappiamo, in astratto, che tutti dicono parolacce e, allora, perché non dovrebbero dirle anche attori e politici?
Milan Kundera afferma che, in Cecoslovacchia, una strategia adoperata dalla polizia per screditare i dissidenti, nei primi anni Settanta, era di registrare le loro conversazioni private e trasmetterle alla radio a puntate. Naturalmente, nell’intimità, ci si controlla di meno, si parla male dei conoscenti, si dicono battute sconce, si esagera e, in genere, si offre una versione più rilassata di sé. Questa “esposizione” dell’intimità aveva la funzione di restituire un’immagine più profana e meno “ideale” del dissidente, il quale, attraverso il linguaggio osceno, trasmetteva impressioni in contrasto con la propria reputazione. E lo screditamento spesso funzionava. Ecco. Anche De Girolamo e Servillo sono ora personaggi screditati. Anche se continueranno a fare il ministro, l’una, e l’attore, l’altro.