La vittoria della Nazionale di calcio agli ultimi Europei è stata accolta da una prevedibile retorica nazionalista. Secondo questa, gli Azzurri avrebbero dimostrato di che pasta sono fatti gli italiani, ma soprattutto, per dirla con le parole del premier Mario Draghi, avrebbero “unito l’Italia”. Addirittura, secondo alcune stime, il Pil del nostro paese è destinato ad aumentare di 12 miliardi a causa dell’aumento delle esportazioni e della inevitabile maggiore attrattiva che la nazione eserciterà sugli stranieri. Una nuova vita si prospetta per tutti noi e forse ogni problema che sembra attanagliare i nostri concittadini svanirà per sempre.
Se questa retorica – ricorrente e scontata – può sembrare stucchevole anche al più trasognato tra noi, è interessante considerarla come un esempio di quello che lo psicologo Michael Billig nell’omonimo libro pubblicato in Italia da Rubbettino (2018) definisce “nazionalismo banale”.
Che cos’è il nazionalismo banale? Secondo Billig, gli stati nazionali
sono quotidianamente riprodotti in quanto nazioni, e i rispettivi cittadini in quanto loro membri. E queste nazioni sono a loro volta riprodotte nell’ambito di un mondo di nazioni. Affinché questa riproduzione quotidiana abbia luogo, si può ipotizzare che si debba riprodurre anche tutto un insieme di credenze, presupposizioni, abitudini, rappresentazioni e pratiche. Oltre a ciò, tale insieme deve essere riprodotto in una maniera banalmente prosaica, perché il mondo delle nazioni è il mondo del quotidiano, il terreno familiare della contemporaneità (p.14).
Il “nazionalismo banale” è dunque quell’insieme di
abitudini ideologiche che permettono alle nazioni consolidate dell’Occidente di essere riprodotte in quanto tali. […] tali abitudini non [sono] distanti dalla vita quotidiana, come hanno ipotizzato alcuni osservatori. La nazione viene indicata, o “sbandierata”, ogni giorno nella vita dei suoi cittadini. Nelle nazioni consolidate il nazionalismo, lungi dall’essere un umore intermittente, ne costituisce invece la condizione endemica (p. 15).
Uno dei modi attraverso cui la nazione ci viene ricordata è attraverso lo sport, e il calcio in particolare. Questo perché
Secondo la tesi del nazionalismo banale, la nazione è vicina alla superficie della vita contemporanea. Se questo è vero, allora le familiari abitudini linguistiche della quotidianità agiranno continuamente da richiami mnemonici della nazione. In tal modo il mondo di nazioni sarà riprodotto come il mondo, l’ambiente naturale della contemporaneità. Come mostrato in precedenza, il nazionalismo non è confinato al linguaggio fiorito dei miti di sangue. Il nazionalismo banale agisce tramite parole prosaiche e consuetudinarie che danno per scontate le nazioni che, così facendo, le inabitano (p. 175).
Così, quando diciamo “noi” italiani abbiamo sconfitto “loro” gli inglesi; quando sventoliamo in piazza le nostre bandiere tricolori e ci esaltiamo per le gesta dei nostri beniamini; quando ci coloriamo il volto e il corpo di azzurro, ricordiamo continuamente a noi stessi che siamo italiani, apparteniamo a una nazione con precisi confini, una precisa lingua e una precisa identità sociale e culturale. Come dice ancora Billig:
I costanti sbandieramenti fanno sì che, qualunque altra cosa venga dimenticata in un mondo di sovraccarico informativo, noi non dimentichiamo le nostre patrie. Il plebiscito, avvenga esso tramite l’abituale deissi o il tifo sportivo, riproduce lo Stato nazionale. Se veniamo sistematicamente preparati ai pericoli del futuro, allora non si tratta di una preparazione che ricarica una riserva di energia aggressiva. È un modo di leggere, di guardare, di percepire e di dare le cose per scontate. È una forma della vita sociale in cui “noi” veniamo continuamente invitati a rilassarci, a sentirci a casa, all’interno dei confini della nazione. Questa forma della vita sociale è l’identità nazionale, la quale viene continuamente rinnovata, e le cui pericolose potenzialità, nella loro familiarità, sembrano innocue (pp. 237-238).
È così che banalmente rafforziamo il nazionalismo, forse l’unica, vera ideologia rimasta tra noi, ormai parte del senso comune e, dunque, dato per scontato. Certo, ci sentiamo bene, entusiasti, felici quando esultiamo e tifiamo Italia. La verità, però, è che, in questo modo, produciamo e riproduciamo una precisa ideologia di cui non ci rendiamo nemmeno conto e che costituisce parte irrinunciabile del nostro bagaglio cognitivo quotidiano.
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