Anche malattie e disturbi del corpo e della mente hanno una storia. Atteggiamenti, aspettative e credenze relativi alle patologie cambiano, senza necessariamente evolvere. Il sapere medico non è necessariamente di tipo cumulativo e migliorativo. È interessante, allora, studiare come la società abbia, nel tempo, guardato a certi disturbi. Prendiamo, ad esempio, la dislessia, definita dalla L. 170 dell’8 ottobre 2010 come “disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura”. L’interesse per le difficoltà di lettura di alcune persone è probabilmente iniziato nel 1878 con il neurologo tedesco Adolph Kussmaul, che introdusse il termine “cecità verbale” (word blindness) per descrivere questo tipo di disturbo. Nel 1887, l’oftalmologo tedesco Rudolf Berlin fu il primo ad adoperare la parola “dislessia” al posto di “cecità verbale”. Il primo a riportare un caso di dislessia in una rivista specialistica – il «British Medical Journal » del 7 novembre 1896 – fu probabilmente il medico William Pringle-Morgan, il quale imputò il disturbo a un difetto congenito di una parte del cervello. Questa teoria è stata condiviso a lungo da scienziati e medici prima di essere soppiantata da altre interpretazioni.
Qui di seguito riporto il breve, storico articolo di Pringle-Morgan che, a tutti gli effetti, è anche la prima descrizione clinica di un caso di dislessia: un documento storico che dovrebbe essere conosciuto da medici, psicologi, pedagogisti e sociologi.
Un caso di cecità verbale congenita
di W. Pringle Morgan
The British Medical Journal
7 novembre 1896, p. 1378
(Traduzione di Romolo Giovanni Capuano©,
Novembre 2017)
Percy F., un ragazzo ben sviluppato di 14 anni, è il figlio maggiore di una coppia di genitori intelligenti, il secondo di sette figli. È sempre stato un ragazzo sveglio e intelligente, abile nei giochi e per nulla inferiore ad altri ragazzi della sua età.
Il suo problema principale, che lo affligge da tempo, è l’incapacità di imparare a leggere. Questa incapacità è così notevole e pronunciata, che non ho alcun dubbio sia dovuta a qualche difetto congenito.
Frequenta la scuola o insegnanti privati da sette anni ed è stato fatto ogni sforzo per insegnargli a leggere, ma, nonostante continui e laboriosi tentativi, riesce a compitare con difficoltà solo monosillabi.
Ciò che segue è il risultato di un esame che ho condotto su di lui poco tempo fa. Conosce tutte le lettere e sa scriverle e leggerle. Se chiamato a scrivere sotto dettatura, trova enormi difficoltà tranne che con parole semplicissime. Ad esempio, quando gli ho dettato la frase seguente: “Ora, guardami mentre lo faccio girare” ha scritto: “Ora, gardimi, mente lo facio gire”. “Avvolgere con attenzione il filo intorno al piolo” è diventato “Avolgee con atenzone il folo itono al polo”.
Ha commesso un errore scrivendo il proprio nome, ponendo “Precy” al posto di “Percy”, e non ha notato l’errore se non quando la sua attenzione è stata richiamata più volte. Gli ho chiesto di scrivere le seguenti parole:
Canto | ha scritto | Cano |
Soggetto | ha scritto | Sogto |
Senza | ha scritto | Sena |
Inglese | ha scritto | Inese |
Scellino | ha scritto | Selino |
Riva | ha scritto | Rina |
Non riusciva affatto a scrivere il nome della casa paterna, nonostante debba averlo visto e scritto decine di volte. Quando gli ho chiesto di leggere le frasi che aveva scritto poco tempo prima, non è riuscito a farlo e ha sbagliato ogni parola, tranne quelle più semplici. Ha sempre riconosciuto parole come “e” e “il”.
Gli ho chiesto di leggermi una frase tratta da un libro per bambini di facile lettura senza compitare le parole. Il risultato è stato curioso. Non ha letto correttamente nemmeno una parola con l’eccezione di “e”, “il”, “di”, “che” ecc. Ho avuto l’impressione che le altre parole gli fossero del tutto sconosciute tanto che non ha provato nemmeno a pronunciarle.
Ho verificato se era in grado di leggere i numeri e ho notato che vi riusciva facilmente. Ha letto velocemente 785.852.017 e 20.969 e ha risolto correttamente: (a + x) (a – x)= a2-x2. Non è riuscito a eseguire il semplice calcolo 4 x ½ , ma ha moltiplicato 749 per 867 velocemente e correttamente. Mi ha detto che gli piace la matematica e non ha alcuna difficoltà con i numeri, ma che le parole stampate o scritte “non hanno alcun significato per lui”. L’esame a cui l’ho sottoposto mi ha convinto del fatto che la sua opinione è corretta. Le parole scritte o stampate non lasciano alcun segno sulla sua mente e, solo dopo averle compitate con grande sforzo, il ragazzo riesce, dal suono delle lettere, a coglierne il significato. La sua memoria per le parole scritte o stampate è talmente carente che riconosce solo parole semplici come “e”, “il”, “di” ecc. Sembra che non riesca mai a ricordare le altre parole, anche se vi si è imbattuto con frequenza.
Pare non essere in grado di conservare e immagazzinare in memoria l’impressione visiva prodotta dalle parole, per cui queste, sebbene osservate, non hanno alcun significato per lui. La sua memoria visiva per le parole è carente o assente, il che vuol dire che egli è affatto da ciò che Kussmaul chiama “cecità verbale” (cœcitas syllabaris et verbalis).
I casi di cecità verbale sono sempre interessanti e questo lo è in modo particolare, credo. Per quanto ne so, si tratta di un caso unico in quanto non ha origine da una lesione né da una malattia, ma da una causa congenita, e trova spiegazione molto probabilmente in uno sviluppo imperfetto di una regione del cervello che, se colpita da malattia, negli adulti produce praticamente gli stessi sintomi: la circonvoluzione angolare sinistra.
Aggiungo che il ragazzo è sveglio e conversa in maniera mediamente intelligente. I suoi occhi sono normali, non vi è alcuna emianopsia e la vista è buona. L’uomo che è suo insegnante da qualche anno dice che sarebbe il ragazzo più bravo della scuola, se le lezioni fossero impartite solo oralmente. Sarà interessante appurare che effetto avranno su di lui ulteriori anni di istruzione.
Il padre mi dice che il problema principale è stato insegnargli le lettere e che pensavano che non avrebbe mai imparato nulla. Senza dubbio all’inizio era affetto da cecità verbale (cœcitas syllabaris et verbalis), ma, impegnandosi costantemente, il difetto è stato superato.