Si chiama causalità illusoria, in psicologia, la tendenza a rinvenire tra persone, fatti, fenomeni ecc. relazioni causa-effetto che in realtà non esistono. Gli esseri umani esibiscono una profonda propensione ad attribuire relazioni di causa-effetto a tutto ciò che vedono. In un celebre esperimento, lo psicologo Bassili, usando figure mobili come stimoli ed esponendole ad alcuni soggetti, notò che questi inferivano rapporti di causalità quando gli oggetti erano in movimento e descrivevano le azioni in termini antropomorfici. In altre parole, non riuscivano a fare a meno di interpretare ciò che vedevano in termini causali. In genere, gli esseri umani tendono a vedere il mondo in termini di modelli coerenti, significativi e interrelati, anche quando l’informazione disponibile è molto approssimativa. Ciò porta a un frequente errore di giudizio nei confronti della causalità che può essere una seria fonte di distorsioni. Così, è facile scorgere cause e intenzioni dove esiste solo una correlazione spaziale e temporale tra un’azione e le sue conseguenze.
Alcuni pensano che la causalità illusoria sia un’illusione di cui sono vittime solo i membri di popolazioni primitive. Il sociologo William Sumner, ad esempio, nel suo libro più celebre, Costumi di gruppo, cita, senza chiamare in causa il concetto di causalità illusoria, una serie di episodi verificatisi presso popolazioni “primitive”.
A Molembo scoppiò una pestilenza poco tempo dopo la morte di un Portoghese; in seguito a questo avvenimento gli indigeni presero tutte le misure possibili per evitare che i bianchi morissero nel loro paese. Sulle isole Nicobar morirono alcuni indigeni che avevano appena cominciato a fabbricare oggetti di terracotta; allora l’arte fu abbandonata e mai più ripresa. Dei bianchi regalarono a un Boscimane in un villaggio un bastone ornato di bottoni come simbolo di autorità; l’uomo morì lasciando il bastone al figlio, il quale ben presto morì anch’egli. Allora i Boscimani restituirono il bastone per evitare che tutti morissero. Fino a poco tempo fa era proibito costruire edifici con materiale incombustibile nelle grandi città della provincia centrale del Madagascar, a causa di qualche vecchio pregiudizio. Un gruppo di cacciatori Esquimesi non trovava alcuna preda; uno di essi ritornò alle loro slitte per prendere una coscia di cane da mangiare, e sulla via del ritorno, mentre camminava con l’osso di coscia in mano, si imbatté in una foca e la uccise. Da allora in poi portò sempre in mano un osso di coscia quando andava a caccia. Le donne Belenda, abitanti nella penisola di Malacca, si tengono il più vicino possibile alla loro casa durante i flussi periodici e molte di loro tengono la porta chiusa, pur non conoscendo la ragione di questo costume: «esso deve derivare da qualche superstizione oggi dimenticata». Poco tempo dopo che gli Yakut videro un cammello per la prima volta, scoppiò in mezzo a loro il vaiolo, ed essi credettero che il cammello fosse il vettore del morbo. Una donna appartenente alla stessa popolazione contrasse un matrimonio endogamo; poco tempo dopo divenne cieca, e questo fatto fu attribuito alla violazione degli antichi costumi. Si potrebbe citare un gran numero o di esempi simili, e in realtà essi rappresentano il modo di ragionare corrente degli uomini primitivi (Sumner, W. G., 1962, Costumi di gruppo, Edizioni di Comunità, Milano, pp. 30-31).
Il modo di ragionare corrente degli uomini primitivi! Ma siamo proprio sicuri? Pensiamo ai calciatori che prima di scendere in campo si fanno il segno della croce o compiono qualche altro gesto scaramantico. Ai politici che indossano sempre lo stesso indumento prima di parlare in parlamento. A nostro cognato che, prima di un evento importante, si tocca il braccio tre volte, non una di più. Al religioso che prima di fare qualsiasi cosa, recita una preghiera. Agli attori che prima di andare in scena dicono: “In culo alla balena” (in inglese, Break a leg, Rompiti una gamba). Tutti esempi di causalità illusoria a cui ci abbandoniamo volentieri, nonostante viviamo in una società definita post-moderna. Forse è un residuo di primitivismo che è in noi. O forse i “primitivi” non sono tanto primitivi, ma uomini come noi. E proprio come noi rispondono ai medesimi meccanismi psicologici.