In una pagina della sua Autobiografia, Benjamin Franklin scrive che, quando lavorava in stamperia,
… bevevo solo acqua, mentre gli altri operai, cinquanta circa, erano grandi bevitori di birra. All’occorrenza salivo e scendevo le scale con due pesanti telai di caratteri, uno per mano, mentre gli altri ne portavano uno solo per volta. Essi si stupivano nel constatare che, in questa come in diverse altre circostanze, l’americano “all’acqua”, come mi chiamavano, si dimostrava più forte di loro che bevevano birra forte. C’era un garzone di birreria che tutti i giorni passava dalla stamperia per rifornire gli operai. Il mio compagno alla pressa si faceva una pinta prima di colazione, una seconda a colazione con pane e formaggio, una terza fra la colazione e il pranzo, una quarta a pranzo, una quinta il pomeriggio verso le sei e una sesta e ultima quando aveva finito di lavorare. A parer mio era un vizio detestabile. Egli invece credeva fosse necessario bere birra forte per essere forti sul lavoro. Tentati di convincerlo che l’energia fisica fornita dalla birra poteva solo esser proporzionale al numero dei chicchi o alla quantità di farina d’orzo disciolta nell’acqua di cui essa era fatta; che ci voleva più farina per un penny di pane e che pertanto, se egli avesse mandato giù quest’ultimo con una pinta d’acqua, esso gli avrebbe dato più forza di un quarto di birra. Tuttavia egli continuò a bere […] E come gli altri poveri diavoli rimaneva schiavo senza speranza.
Potremmo ridere di questa ignoranza che fa credere a degli operai del XVIII secolo che bere “birra forte” renda “forti”. In realtà, cose del genere accadono anche nella contemporaneità. In un articolo pubblicato dall’«Espresso» del 21 agosto 2003, si legge l’intervista a un omosessuale di nome Kenboy che parla di omosessuali come lui che organizzano orge per contrarre l’HIV, nella convinzione che “essere positivo” sia una bella cosa, confondendo così il responso di un test con una parola connotata…positivamente.
È incredibile il potere delle etichette verbali su di noi. Oggi siamo disposti a fare qualsiasi cosa purché quello che mangiamo sia “biologico” o “senza olio di palma”. Amiamo ciò che è “naturale” e “alternativo”. Votiamo per proposte “verdi” (almeno un tempo) o “giovani” per “rottamare” la politica. Siamo letteralmente circondati da etichette che consideriamo positive e la cui presenza è per noi da sola garanzia di bontà, verità, salute. E allora forse gli operai di Franklin ossessionati dalla “birra forte” non dovrebbero apparirci così stupidi. O almeno non più stupidi di noi.