Forse non esiste una categoria più dotata di carica retorica della parola “popolo”, ancora oggi adoperata da politici, amministratori e scrittori come chiamata all’azione, invito alla solidarietà, termine con valenza centripeta buono a comunicare appartenenza ecumenica e uniforme in una società individualistica come la nostra.
“Popolo” tramette un’idea di monoliticità, uniformità, condivisione completa di valori, norme, lingua, religione, stili di vita ecc. Per questo motivo, bisognerebbe diffidare per principio di una categoria così totalitaria e boriosa, ingannevole nella sua pretesa egualitaria e irenica.
La realtà, come sappiamo, è che le società sono composte da gruppi sociali, classi, ceti, associazioni, fazioni, partiti, segmenti, subculture, spesso in conflitto tra loro o, comunque, con interessi, aspettative, atteggiamenti, visioni del mondo e della vita diversi, a volte diversissimi tra loro.
Eppure, sembra che proprio non si riesca a fare a meno di pronunciare nelle occasioni solenni la parola “popolo” o di chiamare un partito “Potere al popolo”. Come se il richiamo al “popolo” avesse una sua infallibile cogenza persuasiva.
Ma chi di noi è “popolo”? Probabilmente se qualcuno ci dicesse che noi – proprio noi – siamo “popolo”, avvertiremmo qualcosa che non va. Dentro di noi sappiamo che non siamo “popolo”, siamo individui. Il richiamo dell’individualismo imperante – così caratteristico della nostra epoca – è fortissimo. Perfino la pubblicità non fa altro che dirci che siamo unici e valiamo per quello che siamo. No! Non siamo popolo. Siamo noi e basta. E chi dice che non è così, dovrà fare i conti con il nostro ego.
Stracciando il velo di Maya della retorica, è possibile dire ad alta voce che non esiste il “popolo”, se non come figura retorica che chiama a raccolta, spinge all’azione, mobilita animi, suscita illusioni di unità compatta e, al limite, di una comune anima che vuole all’unisono. Esiste, invece, frammentazione, divisione, conflitto, individualismo.
L’appello al “popolo” è una forma di riduzione della complessità della realtà e, per questo, del resto, è benvoluta dal “popolo”. E per questo il “popolo”dovrebbe diffidarne.