Ecco i fatti. C’è un ragazzo. Si chiama Christopher Thomas Luciani. Ha 16 anni. Altri due ragazzi, anch’essi di 16 anni, lo uccidono a Pescara all’interno di un parco pubblico. Come? Con 25 coltellate, pare più o meno equamente distribuite tra i due. Il motivo? Forse un debito di droga di 250 euro.
Particolare: Luciani è un ragazzo abbandonato dai genitori che viveva con la nonna.
Particolare: Luciani era fuggito da una comunità di Isernia dove era su disposizione dei giudici a seguito di una condanna per piccoli reati.
Particolare: Luciani era un ragazzo problematico.
Particolare: dei due assassini, uno è il figlio di un carabiniere, l’altro il figlio di un avvocato. Uno dei due aveva tentato il suicidio qualche tempo prima. Non sappiamo chi. Sono due ragazzi di famiglie perbene.
Particolare: dopo aver ucciso Luciani, i due assassini vanno in spiaggia “come se nulla fosse accaduto”, “sintomo evidente di distacco emotivo”
Particolare: i due ragazzi fermati non tradiscono emozioni durante il primo interrogatorio, “sintomo evidente di distacco emotivo”.
In una nota della questura si sottolinea l’incredibile disagio giovanile, la carenza di empatia emotiva e una palese incapacità di comprendere l’estremo disvalore delle azioni commesse. Il sindaco invita a riflettere sul ruolo della famiglia, della scuola e delle istituzioni.
Un delitto efferato e privo di senso.
Ecco qualche riflessione.
Ci sono i fatti e ci sono i racconti dei fatti. I fatti non esistono senza un racconto. L’unico racconto di cui disponiamo è quello offerto dai media. E il modo in cui i media raccontano l’episodio comunica immediatamente una sensazione di efferatezza agghiacciante. Un ragazzo di 16 anni che viene ucciso da due suoi coetanei dopo che questi gli hanno inflitto ben 25 coltellate sembra effettivamente qualcosa di aberrante, incomprensibile.
A ciò si aggiunge il fatto che gli assassini sono andati in spiaggia a divertirsi e a scattare selfies subito dopo il delitto, “come se nulla di grave fosse accaduto”.
I due ragazzi fermati, inoltre, non avrebbero tradito emozioni durante il primo interrogatorio.
Lo scandalo sembra aggravato dal fatto che dei due sedicenni, uno è il figlio di un carabiniere, l’altro il figlio di un avvocato, ossia di due persone perbene.
Altro motivo di indignazione il fatto che il movente sembra essere stato un debito di droga di 250 euro. Quelli che si chiamano futili motivi.
Tutto appare futilmente tragico in questa vicenda. Ma, privo di senso?
Ogni fatto, per quanto aberrante, strano, incredibile, è dotato di un senso. Possiamo non condividere questo senso, ma esiste. In questo caso, per comprenderlo, dovremmo conoscere il punto di vista dei protagonisti di questa storia, della vittima e dei suoi due assassini, oltre che degli altri ragazzi che erano con loro. Dovremmo sapere perché hanno ucciso; perché sono andati in spiaggia e si sono comportati come si sono comportati. Dovremmo sapere se davvero non hanno tradito emozioni quando sono stati interrogati e che cosa significano quei 250 euro, se davvero sono stati la causa dell’accoltellamento. Si giudica un episodio dal significato che noi gli attribuiamo. 250 euro per noi possono non essere un buon motivo per uccidere, per altri sì. Dovremmo sempre considerare il significato che l’episodio ha per i protagonisti.
In mancanza, il rischio è quello di imporre il nostro senso all’evento, le nostre categorie conoscitive, il nostro sistema di valori: un significato che ricaviamo dai pochi fatti di cronaca che conosciamo e dal modo in cui essi sono filtrati dai media.
Ad esempio: perché i due ragazzi sono andati in spiaggia subito dopo il delitto? Si tratta di un “sintomo evidente di distacco emotivo”? Oppure, non avevano un altro posto dove andare? Oppure intendevano liberarsi dell’arma del delitto? Sono andati in spiaggia perché sconvolti? Per meditare sulle proprie malefatte? Perché in preda al rimorso? Perché la spiaggia era il posto più vicino a dove è stato commesso il delitto? Le ipotesi interpretative sono tante. Quella mediatica è unica: “sintomo evidente di distacco emotivo”.
Perché? Perché due assassini che vanno in spiaggia dopo un delitto formano un ossimoro – da un lato, un evento tragico e cruento come un omicidio, dall’altro la spiaggia che il senso comune associa alla spensieratezza, alla gioia, al tempo libero, al divertimento – e ai media gli ossimori piacciono. Perché? Perché gli ossimori permettono di costruire mostri. E i mostri sono funzionali al racconto mediatico.
Noi conosciamo la vicenda di Christopher Thomas Luciani tramite i media e i media non hanno come interesse quello di informare, bensì quello di suscitare sensazioni, emozioni, indignazione, allarme e queste non sono amiche della verità.
I media raccolgono i fatti per scopi giornalistici, non scientifici e questo condiziona enormemente chi intende fornire una spiegazione non giornalistica.
Quindi, io direi che un significato, un senso, questa storia ce l’ha, solo non lo conosciamo. E se desideriamo scoprirlo dobbiamo diffidare dei racconti dei media.
A questo punto, se fossi un “criminologo televisivo” e qualcuno dei media mi chiedesse che cosa ne penso della faccenda, sarei tentato di dichiarare: “Non ho niente da dire perché non conosco della vicenda se non quello che dite voi media e quello che dite voi media ha scopi diversi dalla conoscenza scientifica. Sospendo il giudizio in attesa di sapere”.
Ma i criminologi televisivi non possono permettersi di dire una cosa del genere. Non sarebbero più invitati in televisione. Ne varrebbe della loro fama e dei loro onorari. Non possono dire di non sapere. Anzi, diranno che sanno già tutto e distribuiranno le loro certezze con molta generosità. Basterà rivolgere loro qualche domanda e risponderanno, come da programma, indignandosi al momento giusto e chiamando in causa le giuste responsabilità.
E gli spettatori ringrazieranno perché vedranno compiaciuto il proprio buon senso. “Vedete?”, penseranno tra sé e sé, “Anche loro la pensano come noi. E sanno dirlo tanto bene”.