In un mio post precedente, facevo notare come, nell’antica Roma, l’età adatta per il matrimonio di una ragazza coincideva con la pubertà. Una ragazza era considerata, dunque, in età da marito a partire dai 12 anni compiuti o poco più. Un comportamento da noi ritenuto aberrante che, però, è stato condiviso da varie civiltà, non solo antiche, ma anche moderne e contemporanee. Per queste civiltà, il fatto che una ragazza potesse sposarsi a 12 anni non era considerato solo normale, ma anche naturale. Oggi, lo consideriamo anormale e innaturale. Secondo alcuni, però, se una ragazza sperimenta il proprio menarca all’età di 12 anni, è “naturalmente pronta per sposarsi”, ossia per avere rapporti sessuali. Questo vuol dire che lo stesso concetto di “naturale” è socialmente plasmato e che riceve il proprio significato da ciò che ogni società ritiene tale di volta in volta. Si rifletta su questa osservazione dello psichiatra Allen Frances:
«Duecento anni fa, l’età normale per il matrimonio ovunque nel mondo era attorno alla pubertà (e ancora lo è in certe aree), adesso però la nostra società lo ritiene un crimine. Con un’aspettativa di vita maggiore, è diventato normale sposarsi a un’età in cui, fino a non molto tempo fa, sarebbe stato normale aspettarsi di essere morti» (Frances, A., 2013, Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie, Bollati Boringhieri, Torino, p. 34).
A voler seguire questo ragionamento fino alle estreme competenze, la nostra idea di matrimonio si reggerebbe su presupposti “innaturali”. Questo perché riteniamo anormale sposarci a 12 anni, nonostante la natura (il menarca) segnali al corpo che è pronto a copulare; riteniamo normale sposarci a 38 anni, nonostante, fino a relativamente poco tempo fa, questa fosse considerata l’età del tramonto della vita. Naturalmente, si tratta di una provocazione. “Sposarsi” significa molto più che una copula e le stesse idee che abbiamo dei rapporti sessuali dipendono da credenze, convinzioni, aspettative socialmente trasmesse. Ugualmente, le età della vita non sono stabili in ogni società, ma spostano i propri confini in maniera sensibile. Migliaia di anni fa, morire a 30 anni era la norma; oggi, alla stessa età, si diventa “grandi”.
“Normale” e “naturale” sono concetti socialmente determinati, mutevoli, cangianti che, però, insieme ad altri termini come “ordine”, “verità”, “giustizia” ecc. sono adoperati , anche nei dibattiti pubblici, come se fossero monosemantici. Un grande errore, che ci impedisce di cogliere la complessità del reale e ci costringe a vedere la realtà da punti di vista indebitamente cristallizzati e permanenti.