L’aggettivo “naturale” è sicuramente una delle parole magiche dell’ultimo cinquantennio. Tutte le epoche conoscono parole magiche, in grado di evocare visioni del mondo buone di per sé e sostanzialmente immuni a ogni critica. Basta usarle, applicarle e tutto si risolve. Così, un tempo, era sufficiente dire che qualcosa era voluto da Dio per legittimarlo. “Lo dice la Bibbia” bastava a disinnescare ogni critica, disarmare ogni opposizione. Oggi basta dire di un prodotto che è “naturale” e improvvisamente quello appare avvolto da un alone benefico che lo rende speciale. Allo stesso modo, una farina “bio” ci apparirà come migliore – e di molto, cognitivamente – rispetto a una farina normale; un farmaco “naturale” superiore rispetto a uno convenzionale. “Naturale” si oppone ad “artificiale” come la terra si oppone all’aria e l’acqua al fuoco.
Eppure, a ragionarci su, è facile capire come “naturale” sia un concetto puramente ideologico che di “naturale” ha ben poco. Lo diceva già Giacomo Leopardi, in una citazione che recupero dall’ultimo libro di Silvano Fuso, Naturale=buono?:
una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura.
Allo stesso modo, per continuare a citare Fuso, non può esistere una agricoltura naturale perché l’agricoltura per definizione è creata dall’uomo per modificare la natura. Parecchi cibi che noi ci rappresentiamo in un certo modo come naturali non lo sono affatto. La mela grande, rossa e tondeggiante, per noi l’emblema della mela, è in realtà un tipo di mela, la Red Delicious, creata in America nell’Ottocento; i pomodori, quando arrivarono in Europa, non erano rossi (per noi il colore “naturale” del pomodoro), ma, appunto, color oro; le antiche varietà di mais non erano gialle come per noi dovrebbe essere il mais “naturale”; le prime carote non erano arancioni, ma gialle e viola.
Ricordiamo poi che, in nome della natura, si è legittimata la schiavitù e la subalternità della donna (Aristotele), la bontà dei “selvaggi” (Rousseau), la guerra di tutti contro tutti (Hobbes), la monarchia a scapito della democrazia (parecchi politologi conservatori) e perfino l’omicidio (Sade). “Naturale” è un grimaldello retorico, un’arma micidiale, una patina che ricopre e nasconde le idee, la pietra d’angolo di concezioni che naturali non sono affatto.
Goebbels diceva: “Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola”. Io dico: “Quando sento parlare di naturale, metto in allarme il cervello”.