Nel mio libro Mancini, mongoloidi e altri mostri, notavo come ogni società tende a produrre mostri con funzione di controllo sociale, nel senso che, attraverso la loro repressione/soppressione/eliminazione, la società riesce a stabilire le frontiere del normale e ad imporre la propria idea di normalità. Trovo espresse le stesse idee in un paragrafo del libro di Massimo Izzi, I mostri e l’immaginario, Basaia Editore. Il paragrafo è intitolato “Il mostro come controllo” ed ecco che cosa dice (le citazioni sono tratte dall’introduzione di Franco Porsia all’edizione critica del Liber monstrorum, noto libro medievale dedicato ai mostri, del 1976):
Il mostro o l’alieno è tale solo nei confronti di un “normale” che è stabilito in base alla omogeneità ad una collettività. Quindi il mostro è tale rispetto alla società costituita, e ne incarna tutte le incertezze. In questo senso funziona da destabilizzatore, e innesca nella società un processo di rigetto violento, che arriva fino al rituale allontanamento o alla eliminazione del “diverso”. «Le esorcizzazioni, i roghi, le lapidazioni, reali o simboliche, celebrano dunque la riacquistata sicurezza della comunità, ma questa è sempre pronta a riattivare il processo di inquisizione per poter ulteriormente saggiare la propria coesione ed appagare i suoi bisogni di sicurezza. Il confronto con il diverso sembra, in altri termini una necessità ineludibile della collettività, che ne ricava stabilità ed equilibrio: eliminato un mostro, se ne ricerca un altro, e quando non lo si trova, è necessario crearlo».
“Quando non lo si trova, è necessario crearlo”. Penso che questo sia vero oggi come era vero nel 1982 (data di pubblicazione del libro di Izzi). Anche oggi la nostra società è alla disperata ricerca di “mostri” da isolare/reprimere/eliminare, siano essi “rifugiati”, “immigrati”, “tossicomani”, “arabi”, “maestre che maltrattano bambini” ecc. Il futuro non farà eccezione. Resta solo da vedere quale mostro ci toccherà in sorte.