Possiamo dire che, a causa del barone de Coubertin siamo vittime di un grave fraintendimento – anzi di una vera e propria mistificazione – a proposito della dicotomia “atleta dilettante” – “atleta professionista”.
Come è noto il barone rifondò i giochi olimpici individuandone l’essenza nella distinzione tra dilettanti e professionisti. Solo i primi potevano partecipare ai giochi perché ritenuti “puri” e incarnanti il vero spirito della competizione. de Coubertin traeva questa convinzione dall’idea che nel mondo greco vi fosse una netta distinzione tra le due categorie: dilettante è un atleta che non trae profitto economico dallo sport; professionista è un atleta che ricava un guadagno dalla sua attività sportiva. A questa distinzione si associava un giudizio etico a tutto favore del primo e a scapito del secondo. Escludere, quindi, i professionisti dai giochi Olimpici era la logica conseguenza di questo modo di pensare.
Il problema è che quello del “dilettante” è un mito che falsamente si vuole attribuire alla Grecia antica. Come racconta la storica Paola Angeli Bernardini:
I Greci che si dedicavano all’agonistica sportiva non erano «gentlemen» inglesi e dalla loro attività hanno sempre tratto grossi vantaggi economici, politici e sociali. Ciò non significa che in qualche antica città della Grecia non vi fossero atleti nobili e ricchi interessati a gareggiare più per l’onore della vittoria […] che per premi tangibili, ma significa che di questa possibilità si è voluto fare una regola e che si è voluto vedere un modello là dove non c’era.
In realtà non risulta che i Greci si ponessero il problema del dilettantismo e del professionismo in maniera così drammatica. Partiamo dal dato linguistico che è quello che può fornire una prima indicazione. Esiste un termine greco per indicare l’atleta dilettante? Ne esiste uno per indicare l’atleta professionista? Intanto le parole che più comunemente definiscono colui che pratica lo sport agonistico sono athletès la cui radice si ricollega a àethlos o athlos = gara, e agonistès che è formato su agòn = lotta, scontro. Ad ambedue è estranea sia l’idea del dilettantismo, sia quella del professionismo. La prima accezione non compare in nessun termine greco antico, la seconda – che si esprime mediante termini come techne, epitèdeuma e i loro derivati – si applica a varie categorie di persone che esercitano una professione (attori, medici, allenatori, ecc.), ma non ricorre mai nei documenti ufficiali relativi agli atleti. Affiora, invece, negli autori che si servono di questa terminologia (ad es. kakotechnìa) per muovere critiche a coloro che si dedicano all’atletica (Angeli Bernardini, 1988, pp. XIV-XV).
Sono solo i moderni che hanno scorto in questa distinzione un motivo culturalmente rilevante, arrivando al punto di individuare nel professionismo la causa della decadenza dei giochi antichi.
In realtà, la vera distinzione era quella tra athletès, l’atleta che si dedica alla sua attività in maniera continua e costante, arrivando a possedere, grazie alla preparazione fisica, una tecnica e un’esperienza che lo distinguono dagli altri, e idiòtes, termine che non designa in greco colui che pratica lo sport senza ricavarne compensi, ma colui che si dedica alla pratica sportiva saltuariamente e senza un allenamento costante. La contrapposizione per i Greci non era, dunque, di tipo socioeconomico, ma riguardava piuttosto le modalità della prestazione (Angeli Bernardini, 1988, pp. XIV-XV).
Ancora oggi, paghiamo le conseguenze della credenza di de Coubertin, tanto da ritenere che il professionismo specializzato sia la causa di tutti i mali dello sport contemporaneo, accusato di essere campo d’azione di venali mercenari senza patria e senza bandiera in contrapposizione ai “veri” atleti di un tempo, più “poveri”, ma dotati di valori umani. La verità, però, è che, senza il professionismo, gli atleti per cui facciamo il tifo non sarebbero così capaci, competenti e preparati: solo una dedizione assoluta, e a tratti ossessiva, allo sport che si pratica consente, infatti, di ottenere risultati straordinari che nessun dilettante potrebbe mai sognarsi.
Per questo e altri miti sullo sport, in particolare sul calcio, rimando al mio: Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso dove propongo una interpretazione razionalmente critica di molti luoghi comuni sullo sport e sul calcio.
Riferimento
Angeli Bernardini, P. (a cura di), 1988, Lo sport in Grecia, Laterza, Roma-Bari