Genesi 4 ospita una delle storie ancora oggi più misteriose, sconcertanti ed enigmatiche della Bibbia. La vicenda di Caino e Abele è narrata in modo tale da suscitare in ogni lettore infiniti interrogativi, ognuno dei quali meriterebbe una risposta complessa e articolata. Proviamo a elencarne qualcuno.
Perché Adamo ed Eva sembrano non avere alcun interesse per i loro figli al punto che, se vivessero oggi, potrebbero facilmente incorrere in una denuncia per mancata vigilanza? Perché il Signore mostra di non gradire Caino e la sua offerta e di gradire invece Abele e la sua offerta (il mistero della diversità delle sorti), nonostante, dall’alto della sua onniscienza, egli dovrebbe essere perfettamente consapevole di che cosa può scaturire da situazioni di gelosia fraterna? Perché il Signore accusa immediatamente Caino di malvagità (“il peccato è accovacciato alla tua porta”) anche se, da buon criminologo, egli dovrebbe essere a conoscenza del meccanismo della profezia che si autoavvera in base al quale se una persona è definita malvagia o deviante ci sono buone probabilità che lo diventi davvero? Perché non incoraggia e stimola le sue abilità in qualità di “lavoratore del suolo” invece di condannarlo dopo il primo sbaglio (se di sbaglio si tratta)? Perché incoraggia le pose da “primo della classe” di Abele, nonostante tutta la pedagogia di questo secolo ci metta in guardia dalle conseguenze disastrose di questo atteggiamento? Perché Caino ricorre immediatamente alle maniere forti con il fratello senza tentare alcun genere di mediazione? Perché il Signore chiede a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?», nonostante lo sappia già, essendo onnisciente? Perché la voce del sangue di Abele grida a Dio dal suolo, come se fosse dotato di vita? La maledizione del Signore non è forse eccessiva, considerando il rovinoso contesto educativo imposto al rapporto tra Abele e suo fratello? E, a proposito, perché Adamo ed Eva non hanno niente da dire al loro progenitore? Qual è il segno – il primo stigma della storia – imposto a Caino da Dio – il primo tatuatore della storia – per salvaguardarlo? Come si spiega tanta sollecitudine di protezione a fronte della pesante maledizione lanciata poco prima? E perché Caino doveva temere di essere colpito se, all’epoca, la Terra era abitata esclusivamente da lui e dai suoi genitori?
Dinanzi a questa vertiginosa sequela di interrogativi si sarebbe tentati di rispondere con la contemplazione silente dei misteri a cui essi alludono; o di gettarsi a capofitto in ogni testo di storia e archeologia biblica disponibile alla ricerca di risposte “scientifiche”.
James George Frazer (1854-1941), uno dei padri dell’antropologia sociale contemporanea, ha tentato una interpretazione affascinante di uno dei quesiti finora elencati: quello relativo al segno impresso sul corpo di Caino per proteggerlo dall’ira dei suoi simili. Basandosi sulle risultanze del metodo comparativo in antropologia, e quindi sul confronto con quanto emerge dallo studio di popoli “altri” (Frazer preferisce “primitivi”), l’antropologo britannico suggerisce una soluzione innovativa che non potrà non stupire il lettore avvezzo a letture meramente ecclesiali della vicenda. Il testo di James George Frazer “The Mark of Cain”, di cui qui propongo la traduzione, è tratto da Frazer, J.G., 1919, Folk-lore in the Old Testament. Studies in Comparative Religion Legend and Law, MacMillan and Co. Limited, London, vol. I, cap. 3, pp. 78-103. Al testo ho premesso una mia introduzione che chiarisce alcuni aspetti del lavoro di Frazer ed espone interpretazioni diverse del significato del “marchio di Caino”.
Buona lettura.