Dice Giorgio Agamben in un articolo del 16 febbraio 2012:
David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni, stava lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per “fede”. Quel giorno si trovava per caso in una piazza di Atene e a un certo punto, alzando gli occhi, vide scritto a caratteri cubitali davanti a sé Trapeza tes pisteos. Stupefatto per la coincidenza, guardò meglio e dopo pochi secondi si rese conto di trovarsi semplicemente davanti a una banca: trapeza tes pisteos significa in greco “banco di credito”. Ecco qual era il senso della parola pistis, che stava cercando da mesi di capire: pistis, “fede” è semplicemente il credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi, dal momento che le crediamo.
Nella nostra epoca irreligiosa – e lo dice un ateo – tutta la nostra pistis, tutta la nostra fede, è diventata mero credito bancario. Il lessico dell’economia è oggi dominante, invasivo, occupante. Il mercato ci guarda con i suoi occhi arcigni. Ciò che conta oggi è che il bilancio familiare sia in attivo, che il ragazzo recuperi il debito scolastico, che la partita di calcio torni in equilibrio, anche se l’allenatore sa che il fatturato è importante per vincere il campionato. La reputazione è definita un credito sociale e chi si sfidanza è di nuovo sul mercato, ma attenzione al mercato del sesso facile. L’arte di persuadere è diventata l’arte di “sapersi vendere”. La cultura è un consumo: si consuma cultura come si consuma energia, cocaina o un motore d’auto. I lavoratori sono “risorse umane” e sono contenti di essere chiamati “risorse” perché “fa più moderno” rispetto a “lavoratori”, anche se rimanda a oggetti, anzi a merci. Un tempo si sfogliava la margherita e si recitava “M’ama. Non m’ama”. Oggi la margherita è stata sostituita dalla partita doppia, cioè da un metodo di scrittura contabile, che consente di declinare le forme del dare e dell’avere a cui si avrebbe accesso sposando quel partito. I battiti del cuore sono stati soppiantati da entrate e uscite. I problemi e le difficoltà sono “costi” da sostenere e gli eroi medioevali sono diventati “eccellenze”, termine talmente abusato da far nascere qualche dubbio sulla sua utilità: se tutto e tutti sono eccellenze, dove è la mediocrità? Perfino termini come “crescita” che originariamente non hanno nulla di economico sono stati occupati quasi integralmente dalla semantica dell’economia: la crescita di un paese, di fatto, non può che essere economica. Dio, naturalmente, e la fede sono ridotti a “credito” economico, politico, sociale. Ognuno di noi è un piccolo istituto di credito e, come tale, soggetto a cedere alla minima scossa tellurica che metta in discussione non tanto la propria solidità morale, che è sempre suscettibile di negoziazioni e compromessi, quanto il proprio conto in banca, vera pietra miliare della propria reputazione, il credito per eccellenza di questa epoca irreligiosa (e lo dice, ripeto, un ateo).
Ogni epoca presuppone un linguaggio dominante che, attinge, sostanzialmente e metaforicamente, a un determinato modo di vedere il mondo. In passato, il linguaggio dominante per eccellenza è stato quello della religione cristiana, che ancora, in parte, sopravvive. Oggi è decisamente quello dell’economia perché tutto ciò che facciamo, produciamo, generiamo è soggetto, innanzitutto, che ne siamo consapevoli o no, a valutazione economica. Dalla nascita alla morte. È importante riflettere sulla linguistica del nostro tempo perché espressioni come “essere sul mercato”, usate per i sentimenti, non sono affatto “naturali”. E il guaio è che molti sembrano non esserne affatto consapevoli.